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Le riforme necessarie e da salvare

Pil a +0,8% nel 2016, +0,9% nel 2017

Le riforme sono quasi sempre un miraggio nel nostro Paese, perché assumono una valenza politica che spinge ogni proposta sui binari morti della polemica. Le poche che vedono la luce, invece, rischiano di essere stravolte tra una legislatura e l’altra, a prescindere dai risultati che conseguono. Incapacità cronica di riconoscere i meriti dei predecessori.

Questa volta quali corrono il pericolo di essere “decapitate”? Pochi dubbi: il Jobs act e la Legge Fornero, sotto attacco da tempo, potrebbero essere le prime “vittime sacrificali” dei nuovi padroni del vapore. Numeri, valutazioni dei pro e dei contro? Neppure per idea, nonostante ci siano sicuramente spunti interessanti in entrambi i casi.

Il contratto di lavoro a tutela crescente, a tre anni dalla sua entrata in vigore, tutto sommato non ha deluso. I primi 12 mesi hanno fatto registrare, complici anche gli sgravi contributivi, 776.922 assunzioni a tempo indeterminato, 338.154 sono state quelle a tempo determinato, ben 79.460 i contratti di apprendistato. Nel 2016 si è evidenziato un calo dei rapporti stabili (-12.359) ma un’impennata di quelli a tempo determinato (530.634) e d’apprendistato (119.090). Analoga tendenza lo scorso anno: saldo negativo dei contratti a tempo indeterminato (-62.029) e boom di quelli a termine (594.163) e d’apprendistato (147.087).

Tenuto conto della crisi che ha fiaccato l’economia mondiale, e quella italiana in particolare, asfissiata com’è da uno spaventoso debito pubblico, era possibile puntare su forme giuridiche meno flessibili? Forse no, in ogni caso il numero dei senzalavoro è diminuito sensibilmente. Si intravede un rallentamento, al contempo, nella cessazione dei contratti a tempo indeterminato e un consolidamento di quelli a tempo determinato. Un saldo positivo che fa ben sperare, anche quando verranno meno del tutto gli sgravi contributivi. Si è fatta di necessità virtù.

Cosa riserva il futuro? Dipenderà dal pragmatismo di chi andrà al governo: i Cinquestelle e la Lega puntano sul ripristino delle tutele dell’articolo 18, oltre all’introduzione del salario minimo, il Pd – anche se non più da posizioni di forza – insiste sulla riduzione della contribuzione, legata alle nuove assunzioni, che passerebbe dal 33 al 29 per cento. Qualunque sarà la scelta, anche per la altrettanto contestata ma utile Legge Fornero (Paese ancora oggi di baby “pensionati”!), non si potrà prescindere dalla situazione economica generale. Che consiglia prudenza, per evitare di scatenare tempeste finanziarie e se non si vogliono far scappare gli ultimi imprenditori rimasti su piazza.

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