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Gaza, dietro la rivolta c’è anche la mano dell’Iran?

Gaza, dietro la rivolta c’è anche la mano dell’Iran?

Gli israeliani temono che dietro la rivolta di Gaza ci sia la lunga mano dell’Iran. Quella che potremmo definire come l’Intifada “dei copertoni” (ne sono stati incendiati oltre 12 mila) sta mettendo a dura prova nervi e pazienza di Netanyahu e di alcuni dei “falchi” che lo affiancano, a cominciare dal Ministro della Difesa Avigdor Lieberman. A Gerusalemme sono convinti che la sollevazione popolare di Gaza sia stata studiata a tavolino e che Hamas sia, in effetti, solo lo strumento di chi vuole sfruttare il momento caldo che sta vivendo tutto il Medio Oriente. Proprio per questo gli strateghi israeliani hanno suggerito al loro governo di chiedere aiuto. All’Egitto. Dopo la plebiscitaria rielezione di El-Sisi a presidente, si vuole assolutamente evitare che infiltrazioni fondamentalistiche possano far degenerare irrimediabilmente la cronica crisi palestinese. Al direttore generale dell’intelligence cairota, maggior generale Abbas Kamel, che ha fatto una visita lampo a Gerusalemme, Netanyahu ha chiesto di attivarsi per riportare sotto controllo Hamas. Gli egiziani condividono con gli israeliani la “responsabilità” di sovrintendere e garantire gli equilibri nella Striscia di Gaza. Kamel, secondo fonti ufficiose, si è incontrato con il capo della dei servizi segreti militari ebraici (Aman) maggior generale Tamir Haiman ed ha anche avuto un briefing con il Consigliere per la sicurezza nazionale d’Israele Meir Shabat, uno specialista dei fatti che riguardano Hamas.

Gli 007 di Gerusalemme hanno chiesto a Kamel un preciso impegno da parte dell’Egitto a “contraccambiare” l’aiuto che le forze israeliane stanno offrendo agli egiziani sul Sinai, per contrastare il pericoloso rinfocolarsi dell’estremismo islamico. In particolare, l’intelligence israeliana ha puntato i riflettori su Yahya al-Sinwar, considerato l’anello di congiunzione tra la rivolta di Gaza e i servizi segreti degli ayatollah. A Gerusalemme sono sempre più convinti che Teheran stia soffiando sul fuoco della rivolta, e si spingono quasi ad accusare gli sciiti persiani di voler dimostrare la loro capacità contrattuale anche in Palestina. Il Ministro della Difesa israeliano Lieberman e il capo di Stato maggiore, Gady Eisenkot, intanto hanno elaborato i piani per soffocare sul nascere qualsiasi “deriva” della rivolta, che potrebbe infiammare rovinosamente tutta la Striscia di Gaza.

I morti e i quasi mille feriti di venerdì dimostrano come Netanyahu sia deciso a fare sul serio, replicando colpo su colpo a quella che lui pensa sia una strategia studiata nell’ambito dei nuovi equilibri creati dalla “santa alleanza” tra Iran, Turchia e Russia. Un asse che segue anche la rete di rotte energetiche in grado di bypassare l’Ucraina e l’Europa Centrale. Gratta gratta, insomma, anche quando meno te lo aspetti, sotto la vernice della politica estera spuntano sempre petrolio e gas. E tanti dollari. Così la “Marcia del ritorno” sembra a tutti gli effetti, per ora, una marcia di sola andata, con gli iraniani decisi a sfruttare le rendite di posizione loro offerte dalla cialtronesca guerra in Siria e gli israeliani arroccati sulla difensiva. Specie dopo gli spifferi di corridoio sul disimpegno degli americani.

L’Intifada “dei copertoni” (tutti regolarmente bruciati) secondo l’intelligence israeliana è stata ideata per creare uno spesso schermo di fumo nero che permetta infiltrazioni di aspiranti attentatori. Le forze armate con la Stella di David hanno risposto schierando centinaia di cecchini, incaricati di sparare a colpo sicuro contro gli agitatori. Mossa rimasta solo una pia intenzione, visto il numero dei morti e la carneficina tra i feriti. Cosa che fa intuire come i soldati di Gerusalemme abbiano finito per sparare nel mucchio. Gli israeliani hanno anche denunciato all’Onu e all’Organizzazione Mondiale per la Sanità, il rischio per la salute derivante dal fumo tossico. A Gerusalemme, addirittura, accusano Hamas di avere fissato “tariffe” per assoldare volontari gaziani disposti a rischiare la pelle per incendiare i battistrada. L’opinione pubblica israeliana è frastornata. Tanto che adesso molti avanzano il sospetto che la conclamata “amicizia” del loro Paese con Egitto, Giordania e Arabia Saudita non serva a niente, dato che questi Stati non sembrano avere alcuna capacità di controllo sulla galassia palestinese.

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