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Tra fantascienza
e real-politichetta

Tra fantascienza e real-politichetta

Soltanto maliziose congetture in attesa che i fatti ci smentiscano. E, lo giuriamo, siamo mossi soltanto dal divertimento che è in ogni alambiccare. Avventuriamoci, allora.
H.G. Wells e la sua macchina del tempo ci riportano alla notte, fonda, tra il 4 e 5 marzo scorsi: vediamo il padano ravveduto brindare con bollicine Franciacorta, il napoletano stellato inumidirsi le labbra – prima d’abbandonarsi al sonno del vincitore – in un Aglianico rosé. Entrambi, sorridenti, pensano la stessa cosa, ché l’esito del voto è chiaro. Io, Salvini, sto avanti a Berlusconi e sono il leader della coalizione che ha vinto le elezioni; io, Di Maio, sono il «candidato premier» del partito che ha raccolto più consensi. Nessuno dei due ha, da solo, i numeri per governare; quindi «governeremo insieme».

Però non può accadere senza prima aver messo in piedi una sceneggiatura credibile: dev’esserci logorio, tormento, travaglio. Dobbiamo, io e tu, tu e io, fare due cose. La prima: io, Di Maio, dovrò frantumare il Pd; io, Salvini, dovrò... abrogare Berlusconi – sì, proprio lui sparirà come spariscono le leggi sbagliate, gli errori di un’era che s’è illusa poggiando evidentemente su fondamenta sbagliate –. La seconda: far ingollare alla base cinquestelle che si possa dir bene di quella parte del Pd che «per la verità (malgrado Renzi) ha ben governato» – i democrats si spaccheranno, e altri voti confluiranno nella rete grillina –; propiziare lo smottamento di Forza Italia per impinguare la legione leghista in Parlamento.
Al contempo – chiarito che i demòni, per questo e quest’altro schieramento, devono rimanere Berlusconi e Renzi – bisognerà che il popolo pentastellato sia pronto ad accettare una qualche forma d’appoggio da parte d’un drappello di forzisti esteticamente “deberlusconizzati”, e che il popolo leghista – ormai da Pontida a Pantelleria – non disarcioni, prima che lo imponga la ragion di Stato, il Cavaliere di Arcore, vecchio alleato, quello del 1994 con Bossi-Fini-Casini. Io, Salvini, dovrò ripetere fino allo spasimo «Mai con Renzi»; a me, Di Maio, toccherà all’infinito la battuta «Mai con Berlusconi».

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Dissolvenza (con H.G. Wells instancabile al nostro fianco, siamo sempre alla notte del 4 marzo).
«Ciao». «Ciao».
(I due, al telefonino, vanno subito al sodo).
«Però deve sembrare credibile». «Già: altrimenti il mio/tuo elettorato non capirebbe».

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Un dubbio assale il padano, più riflessivo, prima d’essere – anche lui – vinto da un granitico ottimismo: ma come farà il “prescelto” della Casaleggio&Co – durante il teatrino – a convincere i suoi 11 milioni di elettori, quelli di cui parla anche nel sonno, che sarebbe possibile governare indifferentemente con noi della Lega, o col Pd, cioè due creature incompatibili? Ciò non implica un deprezzamento di questo o di quell’altro punto di programma? Cosa dirà dopo aver predicato per anni contro gli inciuci travestiti da accordi o “contratti” su specifici temi?

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L’altro dorme e sogna d’essere il personaggio principale d’un romanzo di fantascienza, non di H.G. Wells ma di Isaac Asimov.

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E noi?
Vorremmo ricordare, a chi con malcelata vanità ripete di non essere né di sinistra né di destra, che – al di là dei “travisamenti” generati dagli “eccessi” ottusi del positivismo e dalle “distorsioni” scellerate dell’idealismo – le radici sane della modernità non possono e non devono essere messe in soffitta. Di fronte al caos povero di questi nostri transitori tempi s’impone – semmai – il ripensamento dell’umano su scala globale. Ripartendo, smaltita la devastante sbornia postmoderna, dal Soggetto e dalla Verità.

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