La notizia che aerei americani da ricognizione e guerra elettronica “Poseidon” ed “E-3” siano partiti da Sigonella per dirigersi verso le acque siriane e la Turchia scaraventa il nostro Paese in prima linea nella crisi tra Stati Uniti e Russia, scoppiata dopo il presunto attacco chimico di Duma, attribuito ad Assad. Si tratta di un confronto pericolosissimo, per molti motivi. A partire dal fatto che in qualsiasi momento potrebbe saltare la catena di collegamento che lega la sfera politica a quella militare: cioè, detto in parole povere, a qualcuno potrebbe scappare di mano il bandolo della matassa. E sarebbero guai grossi come montagne, che potrebbero dare il via a una escalation di reazioni e contro-reazioni. A proposito dei rapporti tra Italia e Russia, che mai come in questo momento devono essere curati con intelligenza e lungimiranza, Vladimir Putin ha diffuso una dichiarazione in cui manifesta apprezzamento per la partnership del nostro Paese nell’ambito dell’Unione Europea. Un segnale di amicizia, ma anche un avvertimento di sguincio: occhio a come vi muovete, perché anche voi rischiate di diventare un potenziale bersaglio, andando appresso alle elucubrazioni sconnesse di Trump e dei suoi “adviser”. Che, aggiungiamo noi, salgono e scendono dalla sua Amministrazione come si fa con i\ tram di San Francisco. L’eventuale blitz missilistico degli Stati Uniti, che sarebbe portato in prima battuta con i Tomahawks del cacciatorpediniere Donald Cook, non può assolutamente essere considerato come un’operazione coperta dall’ombrello Nato (per l’esattezza l’articolo 5 del Trattato). Il fatto che anche Francia e Regno Unito si siano offerti di partecipare a questi sconsiderati giochi di guerra, inoltre, non significa che gli altri alleati debbano sentirsi coinvolti da una decisione che è poco definire “azzardata”. E che puzza di marcio a chilometri di distanza. Anche perché, dietro le quinte, aumentano le perplessità sul presunto lancio di agenti chimici (cloro?) a Duma e all’Onu la partita su eventuali ispezioni si è conclusa con un incrocio di veti. La verità è che Donald Trump preparava già da lunga pezza l’attacco missilistico contro la Siria. Lo scenario era stato già delineato da diversi specialisti di strategia militare. Erano stati gli stessi russi, evidentemente allertati dai loro servizi segreti, a diffondere la notizia che la Casa Bianca si stava disinvoltamente rimangiando il tacito accordo raggiunto con Putin per la spartizione della Siria in zone di influenza, a est e a ovest dell’Eufrate. Il giro di valzer sulla politica mediorientale dentro l’Amministrazione repubblicana è noto da diverso tempo. Gli avvicendamenti al Pentagono, al Consiglio per la sicurezza Nazionale, al Dipartimento di Stato e alla Cia sono stati il segnale che il vento stava cambiando e che Trump si era deciso a stracciare in mille pezzi tutte le intese siglate da Barack Obama. Prima tra tutte quella sul nucleare iraniano. I motivi del suo voltafaccia nei confronti di Putin sono diversi e complessi. A cominciare, forse, dall’inchiesta promossa dall’FBI sul cosiddetto Russia-gate. C’è poi il rebus della posizione di Israele, che vede come fumo negli occhi la presenza delle Guardie rivoluzionarie di Teheran ai margini del Golan. E la stessa cosa vale per Hezbollah, che dal Libano ormai è tracimato abbondantemente, fino ai confini con l’Irak e con la Turchia. Dalla spy-story col nervino contro l’ex 007 russo Skripal (un’altra vicenda dove il losco si taglia col coltello) fino alla pantomima di Duma, la strategia occidentale (meglio, di americani e inglesi, sempre più coalizzati dopo la Brexit) è quella di chiudere all’angolo Putin. Che fesso non è e ha già preso le sue contromisure, mandando un avviso ai naviganti, attraverso il suo ambasciatore in Libano Zasykpin e il Ministro degli Esteri Lavrov: attenzione, perché la Russia risponderà. Come? Dipende da ciò che combinerà passaguai-Trump. Per ora, la diplomazia “parallela” è all’opera per minimizzare i danni. Spifferi di corridoio dicono che gli Stati Uniti avrebbero avvisato i russi dei siti che starebbero per colpire, in modo da dargli il tempo di sgomberare le loro truppe e le installazioni più sensibili. Sembra strano, ma a volte funziona così. Io attacco perché lo devo fare, ma ti dico prima come e quando, in modo da minimizzare i danni collaterali e la tua eventuale reazione. O almeno, la speranza è questa. Gli analisti, però, stanno in campana, perché ritengono che un’eventuale reazione iraniana dopo il bombardamento di Homs potrebbe dirigersi in profondità contro Israele. Insomma, spostando una sola tessera del mosaico stanno per saltare in aria tutti i birilli.
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