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Siria, i russi accusano: c’è la mano degli 007 inglesi

Siria, i russi accusano: c’è la mano degli 007 inglesi

Era prevedibile: nel caravanserraglio della gravissima crisi internazionale apertasi dopo il presunto attacco chimico di Duma, salgono e scendono tutti, con grande disinvoltura. Adesso tocca ai russi partire al contrattacco, martellando come fabbri ferrai sul lato debole della già caotica strategia occidentale. Dove sono le prove contro Assad? E come se non bastasse questa domanda, che per la verità si fanno in mezzo mondo, a Mosca aggiungono altri sospetti a quelli che già si tagliano col coltello. Ieri, durante un briefing, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha detto che, “con evidenza lampante”, quello di Duma è un vero e proprio trappolone, organizzato a tavolino da un Paese occidentale che sta conducendo una campagna russofoba e che ora è in prima linea nella coalizione anti-Assad (e anti-Putin). La potenza che semina zizzania non è direttamente citata, ma gli analisti, in cotanta cortina di nebbia calata sulle relazioni est-ovest, pensano che si parli di… fumo di Londra. Indizio che diventa prova grazie al portavoce del Ministero della Difesa di Mosca, Igor Konashenkov, il quale accusa esplicitamente i Servizi segreti inglesi di avere organizzato la “provocazione” di Duma. Che, detto per inciso, avrebbe fatto, secondo la BBC, una quarantina di morti e non 500 (dato corretto poi a 100) come denunciato da qualche organizzazione umanitaria che opera in Siria. Per l’esattezza i russi, prodighi di particolari, rivelano un’altra “anomalia”, per usare un eufemismo. Gli “Elmetti Bianchi”, il gruppo di volontari che per primo ha diffuso, urbi et orbi, la notizia del presunto attacco coi gas, sarebbe solo una copertura per gli 007 di Londra in Siria. Insomma, aggiungono al Cremlino, il “piattino” era pronto da tempo e farebbe parte di un vero e proprio progetto di “diffamazione”, studiato a tavolino, che comprende anche il caso Skripal, l’ex spia russa avvelenata con un “nervino”. Secondo gli inglesi proprio su ordine di Putin, come ribadito dall’ambasciatore nel Regno Unito, Alexander Yakovenko. Intanto, l’ex generale Mattis, il capo del Pentagono (fino a quando dura) sembra l’unico in grado di far ragionare Donald Trump e gli altri “falchi” di cui si è circondato, come Mike Pompeo al Dipartimento di Stato e John Bolton al Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Il Ministro della Difesa Usa ha consigliato al Presidente di frenare. E di aspettare. Una delegazione dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac) dovrebbe arrivare presto a Duma per indagare sullo svolgimento dei fatti e rilevare la presenza di sostanze venefiche. Anche se poi diventa difficile stabilire chi le abbia effettivamente usate, perché anche i ribelli islamici, in passato, hanno avuto accesso ai depositi di gas asfissianti del regime. Prendere tempo, per il Pentagono, significa dare la possibilità ai soldati di Mosca di rischierarsi lontano dai siti scelti per il bombardamento dei missili Usa. Un modo per evitare complicazioni e salvare la faccia. E comunque, confrontarsi con i russi per togliersi dai piedi gli iraniani, facendo un favore a israeliani, sauditi e sceicchi assortiti del Golfo, non è uno scherzo. Perché, sia chiaro, è questo uno dei veri motivi della crisi di Duma. Il dopo-Siria, infatti, agita i sonni di parecchi leader. Netanyahu non vuole che Hezbollah e le Guardie Rivoluzionarie di Teheran si piazzino intorno al Golan in pianta stabile. E l’Arabia Saudita, campione dei sunnitismo più ortodosso, teme che gli ayatollah (sciiti), facciano del Golfo Persico un “mare nostrum” e del Medio Oriente una specie di retrobottega dove dettare legge. Specie nel campo delle reti energetiche. E poi una bella crisi serve a far lievitare il prezzo del petrolio. Cosa che delizia sia la caterva di emiri che con l’oro nero spendono e spandono, che molti “tycoons” legati mani e piedi al conservatorismo americano più becero.

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