Clima (a)social. Elargisco al mondo, diffondo, sgancio tweet come mi pare e piace all’intera “comunità” in ascolto. E non dovrò – io Di Maio, né oggi né domani o posdomani – in nessun caso preoccuparmene. Non c’è responsabilità, non c’è paura: certo, ci saranno ultrà avversi pronti a dileggiarmi, ma – vuoi mettere? – radunerò, grazie ai miei eccessi di più spartano odio, proseliti adoranti, drappelli e presto truppe d’ossequianti discepoli. Da questa parte della barricata, quella da cui si lanciano pietre contro i manganelli del Potere, è facile mietere consensi. Ma chi l’avrebbe detto che proprio a me sarebbe stata donata, adesso, tanta cieca fiducia?
Ora, però, è il tempo in cui le mie parole pesano. Se io, Di Maio, dico che sto con la Nato, e quindi ratifico anni d’atlantici reiterati soprusi nei confronti del non-atlantico mondo, ecco che insorgono fastidiose conseguenze, e – maledette – si combinano a catena, ecco che la mia pietrificata base elettorale si costerna e brontola: non appaio, più, riconoscibile. E rischio d’essere anzitempo diseredato del futuro. Sicché debbo calmierare le parole, fletterle verso il “sistema” antico e alieno che pure sta provando a individuare in me tratti da premier, e al contempo dovrò lasciar margini al popolo da cui provengo, che ci tiene tutti legati come fossimo ostaggi. O robot, fate voi.
Non posso limitarmi a dire che auspico una soluzione diplomatica per la Siria. È un pensiero troppo ruffiano rispetto alle alleanze internazionali; avrei dovuto esplicitamente censurare l’attacco missilistico. Serviva qualcosa dai toni forti, con peso specifico da social: a questo ci ha abituati il web, alle distillerie di veleno, alle praterie d’odio. Su questo abbiamo costruito la nostra lotta politica, a questo siamo avvezzi. A sparare le nostre lontano dai riflettori del mondo reale, del mondo che decide, del mondo che ci raggira come vuole – il mondo che dovremmo prendere di petto, per controproporre formule alternative tese a trasformarlo –. Perché forse, davvero, si potrebbe tentare di farlo, se solo abbandonassimo dogmi e feticci da setta, beghe e invidie da cortile d’oratorio.
Il buon senso è bollato malamente: la mia “famiglia”, la base cinquestelle, mi accusa di parlare come un democristiano, d’aver preso una postura reazionaria. Ma posso, nel mio ruolo attuale, far altro?
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Anch’io, Salvini, non dovrei – a quanto sembra – permettermi di definire «pazzesco» l’inaccettabile attacco bellico di Trump. D’accordo, è il presidente americano nei cui confronti, in passato, non ho lesinato elogi. Qualcuno lo rammenta e me lo spiattellerà in faccia. Avrei dovuto essere più cauto in passato, ma come faccio ora a tacere?
Però so anche che, a dispetto del mio amore dichiarato per Putin (un amore vero, questo), presto potrei essere costretto ad ammorbidirmi sulla Nato. Nel futuro, allora, sarà meglio astenermi, su certi temi: d’altra parte, né Lega Nord, né Lega America, né Lega Russia. Lega e basta: meno rotture di scatole.
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Torniamo a noi. Sì, è il tempo della responsabilità. Chi scrive non ha mai amato Berlusconi (ed è un eufemismo); ebbene, chi per ora parla, e troppo, sta riuscendo in un’impresa che ritenevamo impossibile: i profeti della “nuova Italia”, proprio loro, lo stanno facendo ridiventare quasi commestibile – ve ne siete accorti? – per una fetta di Paese che fino all’altro ieri ne maldigeriva persino... le sillabe.
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Carissimi governanti in erba, niente più giochi d’artificio e proclami da campagna elettorale, please. Vi verrebbero rinfacciati già domani. Basta con le smargiassate; se volete governare – vino Sforzato o no – ditelo e fatelo. Sennò Mattarella andrà avanti da solo. Lui davvero per il bene del Paese.
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