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Tra Iran e Israele si moltiplicano i segnali di guerra

Tra Iran e Israele si moltiplicano i segnali di guerra

L’incubo degli analisti di politica estera e di strategia potrebbe materializzarsi da un momento all’altro. Uno scontro rovinoso tra Israele e Iran sembra sempre più vicino, almeno a sentire spifferi di corridoio che arrivano dai piani alti del Palazzo americano. Il network televisivo Nbc ha rivelato che tre autorevoli ufficiali statunitensi si sono espressi con drammatica chiarezza: «Nella lista delle guerre possibili, la prima a poter scoppiare è quella tra Gerusalemme e Teheran».

Il terreno di scontro, almeno all’inizio, sarebbe confinato nel campo neutro siriano. Ma a Washington pensano (e temono) che il conflitto potrebbe allargarsi fino a coinvolgere direttamente i due Paesi. A partire dal Golan. Secondo fonti del Pentagono e del Dipartimento di Stato, Netanyahu sta affilando i coltelli, anche se ha affermato di non volere una guerra con gli ayatollah. Nel contempo ha fatto intuire che l’eventuale possesso di bombe atomiche da parte della teocrazia persiana rappresenterebbe un casus belli. Alla Casa Bianca lo sanno e non si è ancora ben capito fino a che punto tengono bordone (la conferenza di Netanyahu era stata concordata con Trump) e fino a che punto, invece, temono un’escalation che metterebbe a ferro e fuoco tutto il Medio Oriente.

I tre alti ufficiali Usa, che hanno messo in guardia la diplomazia internazionale, si sono anche soffermati sul recente attacco israeliano alla base di Hama, dove è stanziata la 47ª Brigata di Teheran. Lo strike sarebbe stato causato dall’arrivo in Siria di missili superficie-aria di ultima generazione (di fabbricazione russa), in grado di rappresentare una formidabile minaccia per l’aviazione di Gerusalemme. Il Pentagono sta anche in campana perché sono aumentati i trasferimenti di armi pesanti dall’Iran verso la Siria. Recentemente l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, ha mostrato foto aeree di un campo di addestramento iraniano a 10 km. da Damasco. In quell’istallazione, ha denunciato, l’Iran starebbe addestrando migliaia di uomini, che presto saranno in condizione di combattere. Ora, dato che la guerra civile siriana è praticamente finita con la vittoria di Assad, a chi giova un tale potente schieramento di forze? A Gerusalemme credono che sia una sorta di riserva strategica, pronta a essere lanciata nella mischia, in caso di un conflitto tra Israele e gli ayatollah. Ergo, dicono i tre alti ufficiali Usa sentiti dalla Nbc, è logico pensare che Netanyahu si prepari a un attacco. Suo o degli iraniani? Certo, la cosa in questo momento è abbastanza incerta, anche se sul Golan e in Galilea si aspettano presto qualche “sorpresa” da Hezbollah.

Proprio per tale ragione, la scorsa settimana il Ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, durante un briefing al Pentagono, ha informato il suoi collega americano, James Mattis, che la situazione sta precipitando e che presto bisognerà passare all’azione. D’altro canto, in operazioni aperte o sottobanco, a partire dal 2012, Israele ha colpito in Siria almeno cento volte. I militari americani, comunque, hanno raccomandato ai colleghi israeliani di “frenare”, puntando solo su strike chirurgici e facendo meno vittime collaterali possibili. E quando si parla di vittime collaterali, si intende soprattutto personale russo. È questa infatti il vero scenario da incubo per i generali del Pentagono: un’escalation che coinvolgesse anche i militari di Putin, diventerebbe pericolosamente difficile da arrestare.

Intanto, da Washington si è saputo che nelle scorse settimane si sono intensificati i contatti tra gli ufficiali israeliani e americani, con i primi che chiedono di usare la scopa di ferro contro l’Iran. Aumentano quindi le pressioni su Trump e sul Congresso. Non è un caso che il generale Joseph Votel, ai vertici dell’US Central Command, si sia recato in Israele per incontrare il Capo di Stato maggiore luogotenente generale Gadi Eizenkot. Il quale gli ha spiegato che o gli ayatollah si danno una calmata o sarà guerra. Mattis ha ascoltato con attenzione ma ha replicato che la presenza in Siria degli Stati Uniti continuerà fino alla definitiva sconfitta dell’Isis. Ma che non sono in programma attacchi contro le forze di Assad o dei suoi alleati, come iraniani, Hezbollah e, soprattutto, russi.

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