Tutto è più compatto nella seconda parte di “Loro”. Il progetto di Paolo Sorrentino, coadiuvato nella sceneggiatura da Umberto Contarello, arriva a compimento in maniera diretta e lineare, almeno sul piano cinematografico, che è l’unico che interessa all’autore. Sui risvolti politici, sociali e antropologici restano le perplessità individuali, quasi tutte scaturite dalla scelta di Sorrentino di fissare temporalmente la narrazione del suo protagonista Silvio Berlusconi tra il 2006 e il 2009, cioè tra la sua sconfitta elettorale per appena 25mila voti e il terremoto che sconvolse l’Aquila. In mezzo, nel 2008, il suo ritorno in sella con la vittoria nel voto politico anticipato a causa della caduta del governo Prodi per il voltafaccia di un pugno di senatori che erano stati eletti nel centrosinistra.
Ma, per quanto riguarda la vita privata di Berlusconi, il 2009 fu anche l’anno in cui sua moglie Veronica Lario ufficializzò la richiesta di separazione. E lo scossone che fece crollare il loro già traballante matrimonio fu l’apparizione (assai insolita per un presidente del Consiglio) di Berlusconi a Casoria per il diciottesimo compleanno di Noemi Letizia. Sono tutti eventi reali in cui pubblico e privato si mescolano, per la rilevanza istituzionale del personaggio, e la storia di costume diventa anche storia nazionale, definitivamente.
Sul piano drammaturgico Sorrentino cambia decisamente passo rispetto a “Loro 1”: spariscono quasi del tutto le allegorie col mondo animale e le metafore del potere astratto (rimane Dario Cantarelli nel ruolo del “tutore” di Berlusconi). Lì Silvio appare nel blocco finale, in “Loro 2”, invece, è perennemente in scena e l’impianto diventa decisamente teatrale, nel senso migliore del termine, attraverso una serie di “duetti” che – pezzo dopo pezzo – vanno a comporre la figura di Berlusconi. O meglio, dato che si tratta pur sempre di un film, vanno a fissare il lavoro di creazione del ruolo meticolosamente effettuato da Toni Servillo. All’apparire in “Loro 1” Servillo aveva già evitato il rischio di lasciarsi indurre all’imitazione di un soggetto così celebre. Adesso completa la sua opera spogliando il suo Berlusconi di quasi tutte le particolarità imitabili o macchiettistiche. Momento di svolta è il “doppio” dialogo iniziale tra Servillo-Berlusconi e lo stesso attore che interpreta anche il socio storico Ennio Doris. È l’emblematica riflessione tra due imbattibili “venditori di sogni”. Con in più, per Silvio, il cruccio di non essere benvoluto da tutti. È un potente crepuscolare, quasi annoiato, immalinconito, anche – ma non solo – per la sconfitta elettorale. Ma basta un guizzo per ridargli la carica: riscoprire di essere sempre un impareggiabile venditore. E si mette alla prova, in solitudine, telefonando a una signora a caso per proporle l’acquisto di un immaginario appartamento. Ci riesce, si rinvigorisce. Ma non ogni sogno si può vendere o comprare. Il politico Berlusconi può riuscire a far passare dalla sua parte i senatori necessari (qualcuno, per fortuna, resiste alle lusinghe) e fronteggiare i suoi oppositori interni (l’intensa Anna Bonaiuto). Il produttore televisivo può riuscire a imporre nei cast un’attricetta anziché un’altra. Può avere donne giovanissime e bellissime, ma non tutte: accade, almeno con una (la brava Alice Pagani), di ritrovarsi rifiutato e marchiato come “vecchio”.
Tuttavia Silvio, nella ricostruzione di Servillo e Sorrentino, è un incassatore straordinario e coriaceo. Anche nel momento topico: il confronto, implacabile, con la moglie (davvero eccellente Elena Sofia Ricci). Ne esce sconfitto ma non distrutto, come se fosse anestetizzato nei sentimenti. Però la riproposizione in forma scenica impeccabile e assai elegante (vanno ribadite le lodi ai collaboratori tecnici di Sorrentino), con venature quasi realistiche, di avvenimenti autentici o comunque verosimili, non realizza la completa alchimia del progetto del regista. Forse nella prima parte è stata caricata troppo l’attesa dell’incontro – che infine scivola via in maniera poco inventiva – tra il mondo degli arrampicatori, delle olgettine, dei parassiti con il mondo dei “Loro”, dei potenti. In sostanza l’universo che viene veramente scandagliato è soltanto quello di “Lui”, che oltre a essere l’uomo più ricco d’Italia è diventato anche un’eminenza politica. Dalla sceneggiatura emergono riserve sul come e sul perché sia accaduto, ma cinematograficamente non vengono sviluppate. Sarebbe stato impossibile, va ripetuto, che Sorrentino proponesse un giudizio storico-politico, anche perché le cronache quotidiane riportano l’immagine di un leader tutt’altro che in disarmo, anzi ancora assai influente.
In maniera quasi drastica, quindi, il regista propone un finale dedicato ad altri “Loro”, non quelli dei poteri occulti o palesi, ma gli ammirevoli soccorritori tra le macerie dell’Aquila, che estraggono da una chiesa e mettono in salvo una statua di Cristo. Una sequenza ben girata nella sua circolarità, piuttosto spiazzante rispetto al complesso dei due film, che forse può rappresentare un suggestivo omaggio alla statua trasportata in elicottero nella scena iniziale della “Dolce vita” felliniana. Invece per una marcata definizione dell’epoca berlusconiana bisognerà aspettare, se ci sarà, “Loro 3”.
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