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Utopia a tempo determinato

Utopia a tempo determinato

Sembra che presto comici e vignettisti specializzati nei vizi e difetti dei nostri politici dovranno cercarsi un altro lavoro. Sì, perché giorno dopo giorno sono le stesse “vittime” della satira e dell’ironia a confezionare, involontariamente, le battute più esilaranti. Oggi è il caso dei leghisti (ex nordisti ed ex secessionisti) che, nel tentativo ti trovare un’intesa con Casaleggio e associati, accettano di inserire nel programma di governo il «reddito di cittadinanza», ma «a tempo».

È vero, sono temi sui quali c’è poco da scherzare, ma come reagire di fronte a tanta sfrontata e ostentata alterazione della realtà? Come definire in altri modi la continua trasformazione del significato delle parole? Ignoranza o invincibile scaltrezza? A voi la scelta. Come si fa a proporre di ridurre una meravigliosa utopia, qual è il “reddito minimo universale” (già prospettato per la prima volta sommariamente da Thomas Paine nel 1795 ) a un contributo occasionale e condizionato? Come si fa per l’ennesima volta a confonderne il significato con provvedimenti del tutto differenti come l’indennità di disoccupazione?

Al tavolo tecnico, la Lega avrebbe avanzato la proposta di inserire una scadenza oltre la quale togliere l’assegno a chi lo percepisce. La misura diventerebbe così a tempo determinato: due anni al massimo, poi stop al sussidio. Un’ipotesi che, in primo luogo, getterebbe alle ortiche quanto promesso dai pentastellati durante la fantasmagorica campagna elettorale: «Se la nostra proposta sarà approvata - si leggeva nelle slide - ben 9 milioni di italiani avranno diritto al reddito di cittadinanza, cioè tutti coloro che non hanno reddito o hanno redditi molto bassi. E questo vale per i componenti di tutta la famiglia: una famiglia di 4 persone può arrivare a percepire anche 1950 euro. Naturalmente esenti da tasse, ed esenti anche da pignoramenti».
In secondo luogo, i lumbard manifestano la loro incompatibilità con quell’anima (minoritaria) dei Cinquestelle che guarda a sinistra. Quella fascia di elettori, delusa dai progressisti nostrani, ma ancora fiduciosa in una politica che possa agire davvero per raggiungere il sogno dell’inclusione sociale, in cui non ci sia disparità “selettiva” per il concetto di “cittadinanza”.

Salvini e i suoi consiglieri palesano la visione di una destra assistenzialista i cui provvedimenti non riescono a guardare lontano ma mirano soltanto all’acquisizione di consensi. Nulla a che spartire con quel “diritto all'esistenza” che non può essere ridotto, come ha spesso affermato Stefano Rodotà (candidato proposto nel 2013 dal M5S alla presidenza della Repubblica) a un “minimo vitale”, ma che si fonda «su una visione estesa delle risorse da mettere a disposizione, non solo dei poveri, ma di tutti, a partire dall'accesso ai beni comuni».

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