Gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita aspettano con crescente impazienza i risultati delle elezioni irachene, mentre l’Isis già semina bombe (ieri ha fatto otto morti a Kirkuk). Vinceranno gli sciiti, questo è chiaro, dato che la componente sunnita della popolazione è stata stretta all’angolo e i curdi sono da mesi sulla difensiva. Ma quali sciiti? Se a prevalere dovesse essere il partito guidato da Hadi al Amiri, cioè quello dei “puri”, legati mani e piedi a Teheran, Trump e Netanyahu potrebbero cominciare a passare notti insonni. Attaccati sul campo di battaglia siriano dagli aerei con la stella di David e sul piano diplomatico dal giro di valzer della Casa Bianca, per quanto riguarda l’accordo sul nucleare, gli ayatollah sperano di rifarsi piazzando a Baghdad un governo amico.
I servizi segreti israeliani e americani sanno che una delle prime mosse di al Amiri, se diventasse primo ministro dell’Irak, sarebbe quella di dare il benservito agli americani. Con tutto ciò che ne conseguirebbe. In queste ultime settimane, Stati Uniti, sauditi e gli agenti di Gerusalemme hanno distribuito dollari a destra e a manca per comprare voti. L’obiettivo è confermare il premier uscente, al Abadi, sciita di ferro pure lui, ma considerato il male minore. Il terzo incomodo è l’ex capo del governo al Maliki. Dal canto suo, al Abadi, pur di restare aggrappato alla poltrona, ha giocato con due mazzi di carte, cercando di non scontentare nessuno, a cominciare da Donald Trump. I suoi rapporti con Teheran sono tiepidi. La sua strategia è tenere gli ayatollah “a bagnomaria”, cercando di convivere con i “desiderata” che arrivano dall’Iran, senza scontentare il danaroso patron americano. Il Dipartimento di Stato di Washington è arrivato al punto di preferire anche una possibile affermazione dell’imam Moqtada al Sadri, uno che passava per duro, ma che ha ammorbidito la sua posizione e che guida un’alleanza sciita “multicolore”.
Gli ultimi sondaggi indicavano che i dollari avevano fatto effetto e che al Abadi sembrava nettamente favorito. Ma Netanyahu e Trump stanno in campana: non è la prima volta che le rilevazioni in Medio Oriente sbagliano clamorosamente. Certo, dovesse vincere l’ala dura degli sciiti, gli iraniani vedrebbero servita su un piatto d’argento un’eccezionale opportunità di rivincita, dopo i “maltrattamenti” diplomatici e militari che hanno dovuto subire. Un’eventualità non certo remota, dopo che anche in Libano gli sciiti del Partito di Dio di Hezbollah hanno vinto le elezioni, mettendo americani e israeliani sulla graticola. E se Libano, Golan e Galilea sono le nuove frontiere dell’immane conflitto tra iraniani e israeliani, la Siria rischia di diventare il campo neutro, dove si stanno facendo le prove generali di una guerra che potrebbe avere conseguenze devastanti per tutti. A cominciare dal mercato dell’energia, che subirebbe contraccolpi pesanti da una possibile chiusura dello Stretto di Hormuz e del Golfo Persico. L’Italia, l’anno scorso, ha importato greggio dall’Iran per quasi tre miliardi di dollari. Metteteci pure il carico delle sanzioni improvvidamente riproposte dalla Casa Bianca e vedrete che rischiamo di uscire con le ossa rotte.
In quelle che sembrano le elezioni più importanti da molti anni a questa parte, l’Irak gioca un ruolo di primo piano nel mantenimento dei precari equilibri della regione. Le unità militari americane di stanza in Siria si troverebbero circondate da un muro sciita. Mentre a Beirut si sta giocando un’altra partita che potrebbe vedere stringersi la tenaglia sciita su Israele. Da un punto di vista strategico, gli interessi degli Stati Uniti non coincidono con quelli dell’Europa. La geografia politica del mondo sta cambiando e muta con grande velocità soprattutto in aree specifiche, come il Medio Oriente. Dove la scombiccherata politica estera occidentale, le decisioni zigzaganti della Casa Bianca e il saggio (per loro) e astuto comportamento di Russia e Cina portano a un mutamento degli scenari e a un rivolgimento delle alleanze. Nei prossimi giorni capiremo se quello che era un conflitto regionale si è trasformato in una macro-area di crisi, impossibile da gestire e con ripercussioni devastanti sulla nostra quotidianità.