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Montante si difende, l'inchiesta si allarga

Arresto Montante, tra gli indagati anche il messinese Maurizio Bernava

Risponde al gip nisseno Maria Carmela Giannazzo. Respinge le accuse, «non ho mai avuto vantaggi, né appalti, né finanziamenti, né agevolazioni. Io ho sposato le istituzioni». Ricorda che lui era responsabile nazionale per la Legalità di Confindustria, che doveva tener lontane le infiltrazioni mafiose dalle imprese e che doveva per forza avere rapporti istituzionali con le forze di polizia.

Antonello Montante, ex presidente di Sicindustria, ai domiciliari da due giorni come altre cinque persone per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, non sta zitto come invece è stato Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo e attuale responsabile della Security di Confindustria nazionale, che si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Per l’accusa Montante aveva un sistema di spionaggio per difendersi dagli avversari politici e dentro l’associazione industriali. L’obiettivo era carpire notizie sull’inchiesta per concorso in associazione mafiosa che la procura aveva aperto nel 2014 su di lui. Ma l’ex uomo forte della politica economica siciliana - si scopre dalle carte dell’inchiesta - aveva anche una “talpa” in commissione Antimafia che gli avrebbe riferito il contenuto dell’audizione, secretata, dell’imprenditore Marco Venturi, l’ex amico poi diventato il suo più grande accusatore. È proprio Montante, in una intercettazione ambientale mentre lascia l’abitazione dell’ex governatore Rosario Crocetta assieme a Linda Vancheri, all’epoca assessore regionale alle Attività produttive e molto vicina all’imprenditore, a sostenere di sapere cosa abbia detto Venturi all’Antimafia.

L’ex presidente della Commissione Rosy Bindi parla di «scambio deformante tra mafia e antimafia». Il sistema Montante - secondo l’accusa - si basava anche sulla clientela del lavoro: il posto dava potere e legava chi chiedeva il favore (quasi sempre politici) indissolubilmente a chi lo faceva. Cioè allo stesso ex presidente di Sicindustria: «È stato accertato con sufficiente chiarezza – scrive la procura nissena nella richiesta dell’ordine di custodia – che Montante, oltre a promettere e a far ottenere occupazioni lavorative, si prodigasse per soddisfare aspettative di carriera o trasferimenti di sede». Lavoro uguale consenso e Montante, oltre a sistemare persone di sua fiducia per il governo regionale, puntava in alto ed «esternava espressamente la volontà di collocare in futuro dei propri rappresentanti nel Parlamento nazionale», scrive il gip.

Secondo il giudice si tratta di «un progetto politico che non avrebbe nulla di illegittimo, se non fosse che, non soltanto è rivolto alla cura dell’interesse “particulare” di pochi soggetti, ma soprattutto, per perseguirlo, ci si muove all’interno di un sistema di corruttela diffusa, che connota illiceità penale le condotte poste in essere per realizzarlo».

Il sistema comprendeva anche i buoni rapporti con i media e per mantenerli la ricetta di Montante era quella di dare soldi per la pubblicità così «non rompono i coglioni». E c’è un’altra intercettazione emblematica («Fai attenzione a quello che fai, altrimenti ti rompo tutti i denti, hai capito?»), una minaccia per nulla velata che sarebbe stata rivolta da Antonello Montante al comandante del reparto operativo dei carabinieri di Caltanissetta dell’epoca, Letterio Romeo, anche lui indagato nella stessa inchiesta per soppressione, distruzione e occultamento di atti veri e falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Secondo i magistrati nisseni, Romeo avrebbe distrutto o nascosto una relazione di servizio in cui riferiva della minaccia ricevuta da Montante nel 2010. Romeo aveva infatti trovato, durante una perquisizione dopo l’arresto di Vincenzo Arnone, capomafia a Serradifalco, alcune fotografie che ritraevano l’ex presidente di Confindustria Sicilia con Vincenzo Arnone con il collaboratore Dario Di Francesco.

Antonello Montante, intanto, è stato sospeso dalla federazione dei Cavalieri del lavoro.

L’onorificenza gli era stata attribuita nel 2008 perché si era «particolarmente impegnato nella lotta contro le organizzazioni mafiose, promuovendo l’impegno delle associazioni industriali siciliane contro il racket». (ansa)

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