Accantonate le emozioni, su cui certo non si può fondare nessuna azzeccata strategia, ecco che tutti i partiti si ritrovano in questa fase a dover rimodulare le proprie mosse in vista dei prossimi difficili mesi. Mosse che, in taluni casi, riguardano persino la “collocazione”: si rendono necessarie scelte geopolitiche, e queste ultime dovrebbero sempre riguardare primariamente i contenuti, i valori, tutto ciò che poi diventa programma. Sicché, ad esempio, se Matteo Salvini decidesse di rompere con Forza Italia, di «tradire» l’asse di ferro che resiste dal 1994, dovrebbe trovare il modo di “redigere” una credibile narrazione per il suo elettorato. Un’alleanza addirittura organica con il M5S, ad esempio, sarebbe ben più difficile da spiegare rispetto a quello strano «contratto» (formula ipocrita) su cui si sarebbe dovuto reggere il governo verdegiallo. Lega e Cinquestelle hanno origini diverse – non serve un esperto di etimologie per rendersene conto –, approcci differenti rispetto ai problemi e alle possibili soluzioni, condividono tutt’al più qualche affinità di carattere e quindi, ahimè, di postura. E capita di sbagliare se, innanzi al globo in confusa ebollizione, ci si pone pensando – alla Trump – che erigere muri e recintare i propri orticelli sia l’antidoto. Capita pure quando non si distingue bene tra universale e particolare, amici-nemici, vasi comunicanti da gestire – ben attenti all’anima della gente anzitutto ma pure ai conti del bilancio statale – con intransigente pragmatismo. E con senso di responsabilità. A meno che non si vogliano fomentare le piazze, col rischio di spingere il Paese verso giornate buie che mai vorremmo vedere.
Un’alleanza organica Lega-M5S, in occasione del prossimo appuntamento elettorale, non appare quindi facilmente praticabile; diverso è il rapporto tra Salvini e Berlusconi. Il capopopolo della Lega ci ha abituati ultimamente a tenere aperte quante più porte possibili, più numerose dei due fallimentari forni di Luigi Di Maio. Non ci meravigliamo, quindi, se fa un po’ il prezioso con Forza Italia, ma – con questa legge elettorale e l’eco robusta dei sondaggi – avrebbe tutto l’interesse a tenere coeso il centrodestra.
Di Maio ha chiari problemi di leadership; Alessandro Di Battista, con il suo stile tutt’altro che pacato – il Dna si fa sentire –, imperversa ovunque. Ieri ha lanciato gravi accuse al Presidente Mattarella, addirittura d’aver mentito (stendiamo un non pietoso velo su tanto sconsiderata acrimonia). Accuse scomposte e certamente dettate dalla rabbia, che neanche ci hanno scalfiti. Semmai, nello stesso contesto, si fa più notare la frase «Ho sentito Salvini e abbiamo deciso...». Sì, Di Battista scalpita. Si vedrà cosa stabilirà Davide Casaleggio e dirà Beppe Grillo.
E il Partito democratico? Al di là della scelta finale sul voto di fiducia al governo Cottarelli, ha il dovere di considerare queste elezioni un’occasione: per provare a ricucire al suo interno e al contempo riannodare il rapporto che s’è incrinato con una parte di italiani.
Quanto all’Europa, può contribuire alla riflessione una rilettura dell’incipit dell’articolo 117 della Carta Costituzionale: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
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