Stanno provando, i protagonisti di questo confuso trimestre (!) della Repubblica, a trasformare il Quirinale in un saloon. Entrano, escono, dicono tutto e il contrario di tutto. In poche ore Gigino Di Maio – quello dei due forni, col Pd e con la Lega – passa da una richiesta di impeachment, pronta nel cassetto, per il Presidente della Repubblica a un appello accorato perché il comprensivo Sergio Mattarella faccia partire il «governo del cambiamento». Di Maio sale al Colle, scende dal Colle, sale al Colle. Da giorni: ci è andato poco prima di Giuseppe Conte – e ha rischiato d’incrociare nei corridoi Matteo Salvini –, ci è andato ieri poco prima di Carlo Cottarelli (o dopo?), tra una piazza e un’altra, tra un anatema e una supplica. Sì, ieri è tornato al Quirinale – proprio non resiste – e ha assicurato che con la Lega ci sono acclarati punti di riavvicinamento e sintesi che renderebbero di fatto già possibile la nascita dell’agognato governo «gialloverde». Sembra che Gigino dorma assediato da mille variegati incubi, tutti però con inequivocabili fattezze che riconducono al professor Paolo Savona, l’economista pronto a qualsivoglia espediente pur di uscire dall’euro. Anzi no. Anche lui, per rabbonire il Quirinale, ha smussato angoli e pure linee d’ogni pensiero malsano intorno all’Europa e, come Salvini, è improvvisamente tornato più cauto: nell’Unione Europea vanno sicuramente riviste alcune cose, ma è comunque sacra, non si tocca. Chi ha mai detto il contrario?
In mezzo la Meloni, che vota contro, vota a favore, non si sa. Ma il top del caos si è raggiunto quando Salvini, dopo i «no» – da mostrare al mondo – a qualsivoglia governo del Presidente, ha aperto all’ipotesi di «non sfiducia» a Cottarelli. «Non ostacoleremo – questa la frase – soluzioni rapide per affrontare le emergenze». E il capopopolo padano – pardon, ultranazionalista adesso – ha pure calibrato meglio la richiesta di nuove elezioni: non più «voto subito» ma «votare presto però non a luglio», cioè dopo, cioè a inizio autunno, cioè quando gli aveva fin dall’inizio proposto Mattarella (opzione due della presidenza della Repubblica, giacché la prima – più sensata – era andare alle urne a dicembre, dopo l’approvazione della legge di bilancio). Ebbene, sembra che Di Maio si sia ulteriormente disorientato. E c’è stato un battibecco con Salvini – nulla di nuovo in questa love story di “lascia e piglia” che è al centro dei dibattiti nel Paese, carico di preoccupazioni –. Argomenti di lite, poi appianata: la possibile «non sfiducia» leghista a Cottarelli e – daccapo – il destino del professor Savona. A Di Maio è venuta un’ideona: l’economista non all’Economia ma in un altro ministero. Sembra che per Salvini, disorientato a sua volta, ora se ne possa parlare. E andrebbe bene il ritorno di Conte. Cottarelli, in stand-by, aspetta. I mercati, non proprio in stand-by, pure. Gli italiani non sanno più che aspettarsi.
Questi sono alcuni degli ultimi leader prodotti dalla Penisola. E, a vario titolo, vanno loro riconosciute inoppugnabili abilità: far trasparire competenze a volte assenti, un istinto formidabile nel “riplasmare” la realtà manipolandola incessantemente a proprio vantaggio, la cautela di garantirsi sempre una scappatoia per non soffrire le ripercussioni che potrebbero venire da questa e quell’altra sciagurata scelta. Soprattutto, questi acrobati, hanno imparato a planare su qualsiasi evento: l’importante è rimanere illesi o non più che contusi. La coerenza è un optional.
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