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Ripartiamo dal 2 Giugno

Ripartiamo dal 2 Giugno

Alcuni l’hanno riscoperta, molti le si sono avvicinati, curiosi e quasi intimiditi, per la prima volta. La prima vera volta. Si sta parlando della nostra Costituzione, per qualcuno “la più bella del mondo” e, da un anno e mezzo, tornata alla ribalta; certo, concepita secondo lo spirito del tempo, quindi – in alcune parti – sicuramente perfettibile, ma solida, con tracce ancora di smalto vivo, e densa: è sempre così quando in poche pagine si è chiamati a “delimitare” un mondo che vorremmo fosse il migliore possibile.

E “delimitare” non è rinchiudere, ma fissare i paletti certi della democrazia, la nostra. Facendo che essa sia il lucido specchio dei valori, intangibili, che sono espressione del popolo. Sulla cui sovra-nità si fonda l’intero edificio, costruito per resistere comun- que, anche nelle stagioni meno provvide.

Ebbene, al di là di come la si pensi sull’alleanza post-voto tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega, un fatto è certo: queste due forze, insieme, rappresentano credibilmente la propensione politica e le speranze d’una consistente fetta del popolo italiano. C’è una maggioranza in Parlamento e c’è un programma – chiamiamolo col suo nome –. Nelle intenzioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini, questo dovrà essere un governo a lungo termine. Qui e là l’esecutivo gialloverde ha sembianze “tecniche”; ma, pensiamoci, forse non potrà mai più essere altrimenti. In questo mondo che richiede sempre più specializzate (e globali) competenze, la politica chiede supporto ai “tecnici”, parola che, in sé, non deve far paura. Ed è proprio questo il punto: bisogna finirla con le demonizzazioni, con i tabù, non rimanere prigionieri di beceri luoghi comuni.

Ma torniamo alla Costituzione. Tra i valori non negoziabili – dopo il lavoro, che non è una necessità né una croce, ma parte integrante della realizzazione di un individuo, della sua e quindi, speculare, nostra dignità – c’è l’essere comunque solidali. E non si sta parlando solo di migranti: si tratta di mettere al bando le campagne d’odio nei confronti degli avversari politici, di non ricorrere alla menzogna come arma di persuasione di massa, si tratta di diventare (ritornare?) adulti, di riabituarci al confronto e al rispetto.

Questo è richiesto all’Italia: mostrare al resto d’Europa, quando saremo pronti, la nostra superiore comprensione (in senso squisitamente etimologico). Questo dobbiamo provare a fare. Perché è vero che l’economia ci insegue in ogni angolo di strada e ripostiglio d’Occidente, è vero che i “tecnici” sorreggono “muscolarmente” i progetti indicati dai politici, ma è vero soprattutto che questi ultimi devono esprimere una visione della vita, dell’intero mondo, del futuro. Devono raccontare di noi italiani, delle cose che reputiamo non trattabili. Queste, cari (e)lettori, non sono ingenue poesiole. E se ormai ci appaiono tali dovremmo preoccuparci. Stiamo rischiando, ma forse non è troppo tardi per porre rimedio, di trasformarci tutti in – termine da intendersi stavolta nel modo peggiore – “tecnici”. Ovvero cinici, capaci – se è il caso – di far salotto sul surplus commerciale della Germania (i più non ne sapevano niente fino all’altroieri), ma non più in grado di propalare princìpi, strategie che rimettano l’uomo al centro della scena.

Recuperare anzitutto noi, con maturità, una democrazia piena: questo ci serve. E questo andrà rinegoziato con l’Europa. Non esiste soltanto lo sforamento del rapporto deficit-Pil, ma anche e soprattutto lo sforamento del rapporto tra comunità e “sistema”. Questa è la vera bomba a orologeria.

In Italia le opposizioni, segnatamente il Pd e LeU che sono agli antipodi rispetto a chi – dopo avere per anni usato l’invettiva come “metodo” – ora governerà, hanno un’importante occasione: quella di ridare forza alla parola, d’esercitare la critica, la “resistenza”, la protesta in modo serio e civile. Ciò si addice alle grandi forze politiche e così dev’essere in un Paese come l’Italia. È un appello esteso a tutti. Ripartiamo da questa Festa della Repubblica.

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