La definizione più calzante dell’attuale politica estera americana l’ha data l’Economist, nel suo ultimo editoriale: “demolitiva”. E ancora non si sapeva niente del coup de théätre di Trump alla riunione del G7 dove, prima di piantare tutti in asso, con un ennesimo giro di valzer, ha detto che la Russia dovrebbe essere riammessa di gran corsa nell’illustre consesso.
Diplomazia “parallela”? Strategia “asimmetrica”? O più desolatamente confusione mentale, con qualche venatura schizoide? I commenti e le (psico) analisi si sprecano, anche perché, a questo punto, la corazzata a stelle e strisce sembra un caicco senza timone, che gira in tondo. Intendiamoci, proprio su questo punto, guarda tu, il Presidente americano ha ragione da vendere. In questo momento, la squadra di “advisers” vincente è quella che pensa sia insensato spingere Putin a fare blocco con la Cina o a “finlandizzare” l’Europa dei neo-sovranismi. Ma è proprio questo il punto. Come funziona il “decision-making process” alla Casa Bianca? Come mai l’ex Palazzinaro cambia idea a seconda dei ritmi circadiani, in un paio di giorni? Mentre la tattica, aggiungiamo noi, sembra peggio della strategia, che appare e scompare come un coniglio dal cilindro.
In una situazione di questo tipo, una spessa cortina fumogena annebbia la vista di tutti. Alleati, simpatizzanti, nemici ed ex amici sono sempre più confusi, come lasciano trasparire gli amari commenti di Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo. Insomma, una politica estera fatta così toglie quelle residue certezze che ancora esistevano nel mondo contemporaneo. Ergo, chi pensa di governare le relazioni internazionali solo sulla base di regole e trattati pronti a essere aggirati, stiracchiati e interpretati “a convenienza” è bell’e servito. Si ha l’impressione che le intese faticosamente raggiunte, anche all’interno dell’Unione Europea, possano finire nel congelatore. Tranne poi, all’occorrenza, essere riscaldate nel microonde e riutilizzate a seconda di circostanze e interessi nazionali.
E se Trump dà il cattivo esempio, non è che gli altri brillino. Londra e la Signora May hanno puntato sulla Brexit per motivi finanziari e geostrategici. E nessuno li ha accusati di regicidio. Pensavano di poter ricostruire un asse preferenziale con Washington. Poi è arrivato Trump e i piani britannici hanno cominciato a prendere fuoco. E ancora non è niente. Perché in Europa bisogna starci, a tutti i costi e per millanta motivi.
Magari sgomitando per accaparrarsi qualche poltrona più comoda degli strapuntini sui quali sono stati confinati i Paesi del blocco sud. Italia in primis.
La globalizzazione ha cambiato scenari e condizioni, mentre la diplomazia d’antan, onusta di glorie e di allori ma alquanto “demodé”, arranca. Di brutto. La Nato, ad esempio, non si tocca. E siamo d’accordo. Ma che c’entrano le sanzioni contro la Russia per l’affaire della Crimea? Diritto internazionale, dicono.
Ma quante volte gli occidentali si sono messi sotto i piedi il principio di “non interferenza”, dalla ex Jugoslavia in poi, passando per Nord Africa, Medio Oriente, Asia Centrale e America Latina? Le Nazioni Unite, tra veti e risoluzioni che restano lettera morta, servono solo a mettere il coperchio sui soprusi legalizzati delle grandi potenze.
Alzi la mano chi ha letto fino alle virgole gli articoli del Trattato Atlantico. Forse pochi. Bene, qualche “forzatura” per missioni “fuori area” è più che evidente. E qui ci fermiamo.
Per non infierire ulteriormente su bandiere della politica internazionale che a volte non sventolano più, perché manca il vento della solidarietà. O che dovrebbero essere messe a mezz’asta, per alto tradimento dei principi ispiratori. Insomma, viviamo tempi difficili. E se Trump sgomma prepotentemente per la sua strada, spernacchiando nemici e alleati, non è che gli altri siano un modello di saggezza diplomatica. Francia, Regno Unito e Germania hanno molto da farsi perdonare. Paghiamo il conto di un colonialismo d’assalto, becero e predatorio, e di una decolonizzazione tutta lapis e squadretta. Condotta tracciando i confini a capocchia.
Chi fa il maestro e mette gli altri dietro la lavagna, incominci, proprio lui, a fare gli esami di riparazione.
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