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Nucleare, Trump dopo Kim ora accarezza anche l’Iran

Nucleare, Trump dopo Kim ora accarezza anche l’Iran

La politica estera di Donald Trump ci ha ormai abituati a giri di valzer, piroette e tuffi carpiati di ogni tipo. L’ultima sorpresa in arrivo è il deciso cambio di atteggiamento nei confronti dell’Iran. Manco fossero passati lustri dalle ultime bordate contro il programma nucleare degli ayatollah, adesso i toni della Casa Bianca sono diventati improvvisamente più morbidi.

Poco prima del summit con il leader nordcoreano Kim Jong-Un, Trump, in occasione della visita del premier giapponese Shinzo Abe, ha sotterrato l’ascia di guerra. Affermando che l’Iran ha assunto una condotta molto più saggia, per quanto riguarda lo scacchiere del Mediterraneo e i conflitti aperti in Siria e Yemen. Il Presidente ha aggiunto che proprio l’appeasement con Pyongyang può essere una buona “road map” per arrivare a un’intesa soddisfacente anche con Teheran. Il colpo di teatro è continuato dopo l’incontro con Abe, quando Trump ha dichiarato che l’Iran, rispetto a tre mesi fa, «è veramente un altro Paese» e che lui è convinto che si possa negoziare un nuovo trattato nucleare in modo da eliminare progressivamente le sanzioni commerciali.

La parolina magica che spiega tutto? Diplomazia parallela. O relazioni internazionali “asimmetriche”, fate voi. Cioè strategie che si confondono con la tattica e algoritmi che delineano una “foreign policy” istintiva, dove i tempi vengono dettati a casaccio. Un distillato di caos, dove complessità, imprevedibilità e ingovernabilità del sistema globale si tengono per mano. E fanno diventare improvvisamente desueti i grandi organismi internazionali: l’Onu arranca, la Wto ha le convulsioni sotto i colpi inferteli dal protezionismo, il G7 è ridotto a una comparsata, la Nato è alla spasmodica ricerca del nemico perduto e l’Unione Europea è alla struggente ricerca di se stessa. Il “Trumpismo” devasta gli scenari preesistenti e lascia dietro di sé un cumulo di rovine fumanti. L’abbiamo detto e lo ripetiamo: l’America non sta riscrivendo un’epoca, la sta semplicemente cancellando, confondendo gli alleati, accarezzando i “nemici” e scegliendo, più o meno cinicamente, la strada del “face-to-face” per risolvere la montagna di problemi che ci portiamo appresso. Si discute e ci si accorda in due o in tre. Il resto è materiale buono solo per i fotografi e le notizie di cronaca. Che vengono puntualmente smentite il giorno dopo.

Gli allarmatissimi esperti israeliani (fonte “Debka”) sono convinti che cambiare treno in corsa, come avvenuto con Kim, non sarà tanto facile per Trump. Per molti versi, l’affaire che riguarda Teheran è molto più contorto di quello coreano e coinvolge un sacco e una sporta di Stati (grandi e medie potenze) e una macro-area di crisi che va dal Medio Oriente fino all’Asia Centrale. Passando per la vena giugulare del Golfo Persico. E poi, nel caso specifico, manca il grande mediatore, come la Cina con Kim. La Russia per ora aspetta alla finestra, cercando di massimizzare i guadagni. I suoi adviser hanno detto a Trump che mettere l’Iran all’angolo non è stata una buona mossa. A Teheran i “duri e puri” hanno rialzato la testa e la stessa “guida suprema”, Alì Khamenei, ha dato l’ordine di riprendere l’arricchimento dell’uranio. Hassan Rouhani ha “avvisato” il presidente francese Macron che rispettare un accordo senza gli Stati Uniti non ha senso. E il capo della “Aeoi” (Iran’s Atomic Energy Organization), Behrouz Kamaivandi, ha, a sua volta, confermato che le centrifughe della centrale di Fordow presto torneranno a produrre uranio, quello buono per la “bomba”. Alla faccia del patto stracciato dagli americani.

Last but not least, pare che Trump abbia chiesto aiuto a Putin, guarda tu! Cioè fare pressioni sugli ayatollah e sugli sciiti di Hezbollah, che potrebbero essere “invitati” a sloggiare dalla Siria. Liberando la regione intorno al Golan e facendo respirare Israele. Sarebbe questo il leit-motiv del prossimo vertice auspicato da Washington col capo del Cremlino. Sorpresa? No, un altro giro di valzer. Nella speranza che tutto il resto del pianeta non sia costretto a ballare la samba.

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