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Siria, il fuoco continua a divampare sotto la cenere

Siria, il fuoco continua a divampare sotto la cenere

Sebbene il conflitto siriano per ora sia sparito dalle prime pagine dei giornali, la situazione sul campo resta caldissima. Anzi, i segnali che arrivano dal sud del Paese, dove è in atto una pesantissima offensiva governativa sostenuta dai russi, sono inquietanti. Almeno 70 mila rifugiati si sono ammassati lungo il confine israeliano del Golan. Si calcola, però, che poco meno di altri 200 mila abbiano già lasciato le loro case cercando scampo “a macchia di leopardo” e diventando di fatto migranti “internally displaced”. La loro destinazione finale sarebbero proprio le propaggini del Golan. A Gerusalemme hanno i nervi a fior di pelle e il dito sul grilletto, tanto che per oggi Netanyahu ha convocato un Consiglio di guerra, durante il quale il capo di Stato maggiore, generale Gady Eisenkot, relazionerà sulla manovra tenaglia condotta dalle unità di élite del presidente Assad sostenute massicciamente dall’aviazione russa. Secondo gli israeliani gli attacchi condotti dai jet di Damasco e di Mosca sono stati “brutali”. I servizi segreti militari di Gerusalemme hanno fatto sapere che solo nella giornata di giovedì scorso i Mig e i Sukhoi di Putin hanno effettuato 300 missioni, mentre gli aerei siriani hanno condotto 40 raid. In particolare, sono state presa di mira le città di Nawa e Sheikh Miskin, ai piedi del Golan. L’offensiva segue di qualche giorno quella scatenata contro la piazzaforte di Daraa, dove i bombardamenti hanno lasciato un cumulo di rovine fumanti. Naturalmente, l’emergenza umanitaria ai suoi confini innervosisce Netanyahu. Anche perché i suoi scafati analisti sospettano che dietro l’escalation della coalizione governativa sostenuta dai russi ci possa essere di più: una sorta di patto scellerato tacitamente sottoscritto da Trump e dal Cremlino. In sostanza, a Gerusalemme temono che tra il Presidente americano e Putin ci possa essere stato una sorta di “gentlemen’s agreement” o, meglio, un baratto diplomatico. Gli Usa avrebbero dato semaforo verde ai i russi per quanto riguarda la loro presenza in Siria. In cambio avrebbero ottenuto un ammorbidimento del Cremlino a tutto campo, cosa che avrebbe portato al decisivo accordo per il faccia a faccia di metà luglio. Si tratta, almeno apparentemente, di un ulteriore successo della politica estera della Casa Bianca, che si ripercuote sul gradimento (job approval) di Trump. Utilissimo in vista delle elezioni di “medio termine”, soprattutto per parare la botta in caso di ulteriori approfondimenti del “Russiagate”. Non solo, ma la strategia conciliatrice seguita dalla diplomazia americana si sarebbe spenta fino a chiudere tutte e due gli occhi sulla massiccia presenza iraniana e degli sciiti di Hezbollah nell’area degli scontri. Una cosa che non fa certo piacere al governo israeliano e che, anzi, ha fatto accendere tutte le lampadine rosse di allarme, fino alla convocazione del Consiglio di guerra. Netanyahu non si fida e non vuole farsi trovare impreparato. Anche se la mossa di Trump gli ha tolto il sonno. Come in Europa, la solidarietà verso i rifugiati è sulla bocca di tutti e nel cuore di nessuno. La Giordania ha sbarrato col chiavistello i suoi confini, così colonne di siriani che scappano dalla zona dei combattimenti con addosso solo i vestiti si dirigono a nord, verso il Golan. Gli esperti calcolano che i rifugiati in quell’area, a ridosso della frontiera più esplosiva del mondo, possano arrivare fino a 250 mila nelle prossime settimane. Una catastrofe umanitaria che diventa anche un bel rebus per la sicurezza di Israele che, sotto pressione a sud, con i tumulti della Striscia di Gaza, adesso deve affrontare una nuova emergenza a ridosso della Galilea. Il think-tank “Debka” avverte: chi è disperato può fare di tutto. Anche accettare pochi dollari per trasformarsi in terrorista “faidatè”, come già si è verificato nel passato alla frontiera siro-giordana. Insomma, in molti non se ne sono ancora accorti. Ma in Siria il fuoco brucia sotto la cenere e gli esodi biblici di intere popolazioni si potrebbero trasformare in potenziale minaccia a tutto tondo. Netanyahu può convocare tutti i Consigli di guerra che vuole, ma non risolverà un bel niente. A meno che non decida di cominciare a sparare nel mucchio.

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