Da sempre è stato il “lato debole” della difesa israeliana, ma ora è diventato un nervo più che sensibile. Anzi, scoperto. Parliamo del Golan, massiccio ai confini nord dello Stato ebraico, “preda” bellica conquistata durante la “Guerra dei Sei Giorni” e vero e proprio architrave strategico di tutto il sistema di sicurezza di Gerusalemme e della sua regione più ubertosa: la Galilea. Dunque, Netanyahu e le sue forze armate si trovano a dover fronteggiare una doppia emergenza di quelle toste, che li sta facendo arrivare sull’orlo di una crisi di nervi. Si ritrovano una massa di bellicosi miliziani sciiti (Hezbollah) ante portam, con l’aggiunta di numerosi contingenti di Guardie Rivoluzionarie iraniane, i loro più mortali nemici. E, come se tutto ciò non bastasse, gli israeliani devono risolvere di gran corsa il problema delle migliaia di profughi siriani che si sono accampati a un chilometro dalla loro frontiera, nella zona di Barika. Il Mossad, il mitico servizio segreto ebraico, ha già fatto accendere tutte le lampadine rosse nella stanza dei bottoni di Gerusalemme. Occhio, hanno detto gli 007 di Netanyahu, perché mischiati nella marea dei profughi ci sono sicuramente “terroristi in sonno” pronti a fare un macello. Nonostante ciò, finora gli israeliani hanno cercato di far fronte all’emergenza umanitaria, costruendo un forno per 12 mila rifugiati e distribuendo generi di prima necessità e medicine. Tuttavia, è una situazione che può sfuggire loro di mano in qualsiasi momento, dato che i governativi di Assad e gli sciiti iraniani e di Hezbollah, con una manovra a tenaglia, puntano su Quneitra, ancora in mano ai ribelli. A questo punto gli specialisti ipotizzano scenari tattici diversi. Netanyahu potrebbe cercare di stipulare qualche accordo con i rivoltosi anti-Assad in fuga da Daraa, che è in procinto di cadere definitivamente. Anche perché i russi stanno chiudendo il cerchio, sostenendo i governativi con micidiali e ripetuti bombardamenti che arrivano a oltrepassare le cento missioni al giorno. La manovra a tenaglia alla quale accennavamo prima, potrebbe portare la coalizione siro-sciita, con un attacco da sud, a eliminare la sacca di resistenza del Khalid ibn Walid Army, una formazione superstite dell’Isis. Da nord, invece, Assad e i suoi agguerriti alleati potrebbero sfondare e riunirsi all’altro braccio, spuntando in forze nei pressi di Hamat Gader, a un tiro di schioppo dal Mare di Galilea. Logico, quindi, che il Capo di Stato maggiore dell’IDF (Israel Defense Forces), Gady Eisenkott, abbia ordinato alle sue unità di tenere il dito sul grilletto e abbia anche lanciato una sorta di avviso ai naviganti: non sarà tollerata nessuna invasione di campo nella zona “demilitarizzata” fissata dagli accordi per il cessate il fuoco con la Siria nel 1974. Eisenkott, dopo il suo viaggio a Washington per fare il punto della crisi con gli alti papaveri del Pentagono, ha voluto ispezionare minuziosamente la sua linea difensiva sul Golan, dato chr a Gerusalemme si continua a parlare apertamente di guerra. E mentre la stampa internazionale sottovaluta il drammatico momento che si vive lungo la fascia di confine israelo-siro-giordana, gli americani, temendo il peggio, si muovono secondo i canoni della “diplomazia parallela”. Hanno già avvertito i russi che a partire dal prossimo 24 luglio saranno condotte manovre congiunte dall’Us Air Force e dai jet di Gerusalemme (si parla dell’impiego dei “Super Hornet”), pronti a bombardare le forze sciite che dovessero avicinarsi troppo alla Galilea. Gli aerei Usa sono quelli imbarcati sulla portaerei Harry Truman, posizionata nel Mediterraneo Orientale. Comunque, gli analisti sono convinti che alla fine Trump e Putin potrebbero raggiungere, nel loro prossimo vertice, una specie di “gentlemen’s agreement”, per cercare di gettare acqua sul fuoco e calmare gli israeliani, sempre più timorosi di un attacco a sorpresa che potrebbe essere portato da Hezbollah e dalle Guardie Rivoluzionarie degli ayatollah nel Golan. Una mossa che, senza dubbio, farebbe scoppiare una guerra generalizzata, tale da coinvolgere Israele, Siria, Libano, Iran e, se dovesse scappare a qualcuno il bandolo della matassa, anche le forze russe nella regione.