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Rivelata l’esistenza di un piano d’attacco contro l’Iran

scontri in iran

A Helsinki, domani, il Presidente Trump e Vladimir Putin dovranno sbrogliare una delle matasse che, in questa fase, toglie il sonno a più di una diplomazia. La Siria, è vero, sembra scomparsa totalmente dalle prime pagine dei giornali internazionali, però, come abbiamo scritto recentemente, il fuoco cova sotto la cenere. Quasi liquidata la pratica dell’Isis, adesso Russia e Stati Uniti si trovano di fronte a scenari strategici difficili da interpretare. Il problema è sempre quello: la vittoria sul campo di Bashar al Assad e delle sue forze governative ha consentito alle milizie sciite di Hezbollah e alle Guardie rivoluzionarie iraniane di mettere radici in pianta stabile in Siria. E se questo ha provocato, in una prima fase, movimenti tellurici nella zona nord e a est, nelle aree abitate dai curdi, ora le rogne si sono trasferite a ovest e a sud-ovest, proprio in direzione del Golan. Insomma, quello che viene considerato dagli israeliani il caposaldo più importante per la vita o la morte del loro Stato, adesso è praticamente “assediato” dalle truppe degli ayatollah. Una situazione che sta innervosendo, giorno dopo giorno, gli Stati maggiori di Gerusalemme e lo stesso premier Netanyahu, tanto da indurlo a studiare un piano d’attacco preventivo contro gli iraniani (in Siria) assieme agli Stati Uniti. Come abbiamo detto, la diplomazia “parallela” è già al lavoro. Ma bisognerà attendere, per vedere se porterà a risultati fruttuosi. Saranno i due vertici, quello già tenuto da Netanyahu con i russi e l’altro in Finlandia, a determinare l’after-war in Siria e, soprattutto, ad allontanare lo spettro di una possibile guerra tra Israele e l’Iran. Per ora, le forze armate di Gerusalemme stanno a guardare, col dito sul grilletto, tutto quello che succede a pochi chilometri dai loro confini. In particolare, si aspetta la battaglia di Quneitra che, dopo Daraa, dovrebbe consentire ai governativi e ai loro alleati sciiti di conquistare la città, considerata un po’ come la porta del Golan. E mentre anche sul fronte sud, lungo la Striscia di Gaza, la situazione è in ebollizione (Hamas ha sparato verso Israele una sessantina di razzi, subendo un contrattacco aereo), anche gli ayatollah si danno da fare, esercitando pressioni sul Cremlino. Il consigliere della Guida suprema Alì Khamenei, Velayati, dopo essersi incontrato con Putin, ha lanciato minacce “di sguincio” sia verso Netanyahu che verso lo stesso Trump. In sostanza, l’alto esponente del regime di Teheran, ha detto che il suo Paese si impegnerà a far sloggiare gli americani dalla Siria.. Velayati ha anche aggiunto che la strategia degli ayatollah è stata elaborata assieme al governo di Baghdad, notoriamente filo-sciita. A quanto si apprende, la teocrazia persiana non avrebbe alcuna intenzione di ordinare un dietro-front alle sue truppe di stanza in Siria. Anzi, quasi a mettere le mani avanti, fa capire che qualsiasi cosa venga concordata ad Helsinki tra russi e americani, la situazione sul terreno non cambierà: loro là sono e là resteranno. E tenendo conto che Israele deve guardarsi anche dalle rivolte nella Striscia di Gaza, si capisce bene come le forze armate dello Stato ebraico si trovino, in questo momento, prese tra due fuochi, strette in una tenaglia. Naturalmente, questa situazione tattico-strategica, sta sollevando un mare di polemiche a Gerusalemme. In molti accusano Netanyahu di non avere risposto colpo su colpo alla progressiva avanzata sciita. Una vera e propria santa alleanza islamista, che adesso include anche milizie irachene e unità militari di guerriglieri in arrivo persino dall’Afghanistan. Ma bisogna anche dire che gli israeliani sono corsi ai ripari. Spifferi diffusi dai servizi segreti di Gerusalemme e dalla Cia parlano di un piano ben definito, chiamato “Progetto Iran”, che sarebbe stato concordato con gli americani. Si tratterebbe di un vero e proprio disegno militare per un’offensiva contro gli ayatollah, se le cose dovessero andare male. La strategia della coalizione, guidata da un generale israeliano, Nitzan Alon, sarebbe stata messa a punto durante la recente visita del Capo di stato maggiore Eisenkott a Washington. La cosa è significativa soprattutto per un aspetto: i militari israeliani sono sull’orlo di una crisi di nervi e si fidano sempre meno della diplomazia di Netanyahu. Speriamo che a qualcuno non scappi la mano, fino a rompere la catena di comando.

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