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Ecco il vero patto segreto tra Putin e Trump

Trump a Putin: "E' bello essere qui con te"

A Helsinki la diplomazia “parallela” ha fatto il suo lavoro. La conferenza stampa di Trump e Putin è stata solo uno specchietto per le allodole, una specie di pantomima buona solo a spargere una cortina fumogena sui temi più scottanti che sono stati discussi nelle segrete stanze. Ecco perché il Presidente americano, maldestro e pasticcione, nella press conference successiva al vertice ne ha combinate di tutti i colori. Non si era letto bene il copione e ha parlato a ruota libera, sotto lo sguardo della sua molto più scafata controparte russa, che a tratti sorrideva e a tratti ghignava. Ma si sa, Putin è un maestro in certe situazioni, e ha vinto il confronto a mani basse. E Trump, tornato a casa, invece, è stato ecumenicamente preso a pesci in faccia, per la storia del “Russia-gate”. Bene, ma che cosa si sono detti veramente i due leader? Una delle patate più bollenti, in questa fase spesso sottovalutata dagli analisti e dalla stampa internazionale, è la crisi tra Israele e l’Iran, ormai giunta quasi a un punto di non ritorno. Netanyahu ha chiesto precise garanzie sull’affollamento di truppe sciite (Hezbollah e Guardie rivoluzionarie di Teheran) che, specie dopo la presa di Quneitra, minacciano da vicino il massiccio del Golan e l’intera Galilea. E le ha ottenute. Ecco perché in questo momento si preoccupa solo di Gaza, a sud. Dove, dopo che un soldato è stato ucciso da un cecchino, hanno perso la vita quattro palestinesi, prima di arrivare a una labile tregua. Tornando a Helsinki, fonti vicine ai servizi segreti dello Stato ebraico, Mossad e Shin-Bet, hanno spifferato i retroscena. Dunque, l’intesa raggiunta sottobanco da Washington, Mosca e Gerusalemme impegna Netanyahu a non colpire i governativi e gli sciiti che combattono in Siria in nome e per conto del governo di Bashar al Assad. Specie quelle presenti nelle province di Daraa e Quneitra, nel triangolo di confine che interessa anche la Giordania. Si tratta di milizie che arrivano da Iran, Libano, Irak, Afghanistan e persino Pakistan. Israele però si riserva il diritto di bombardare qualsiasi nuova installazione di armi di ultima generazione (piattaforme mobili missilistiche?) che gli ayatollah dovessero piazzare a ridosso del Golan. Israele e la Siria, inoltre, si impegnano a rispettare l’accordo sul cessate il fuoco del 1974, che prevede una “buffer-zone”, una zona-cucinetto, di circa 80 chilometri lungo il confine. L’area sotto controllo militare congiunto è divisa in tre blocchi, a partire dal Golan. La prima striscia sarà sorvegliata dalla Polizia militare russa e dall’Undof (caschi blu dell’Onu) , che saranno responsabili di qualsiasi violazione dei patti. Nella seconda “strip”, più a sud-est, Damasco potrà schierare non più di 3 mila uomini e 350 carri armati. Nella terza, al confine con la Giordania, Bashar al-Assad potrà impiegare un massimo di 4.500 soldati e fino a 650 tanks. La filosofia dell’accordo è quella di tollerare le unità governative di Damasco, ma di non permettere lo stazionamento delle milizie sciite a ridosso del Golan. Assad è sempre meglio di Alì Khamenei, insomma. Almeno per Gerusalemme. Può sembrare un paradosso, ma saranno proprio i russi a garantire la sicurezza di Golan e Galilea. Lo schieramento di truppe (cecene?) di “peace-enforcing” servirà ufficialmente a evitare ritorsioni e violenze contro i civili, specie nell’area di Tal Al-Harrah e in quella di Nawa. In pratica, si parla di località situate a 37 chilometri dalla zona dei combattimenti di Daraa, ma a soli 14 chilometri dalle prime linee israeliane sul Golan. Putin che ci guadagna? Beh, altro che interferenza sulle elezioni americane! Qui si tratta di uno sbracamento totale sul ruolo di Mosca nell’intero Medio Oriente. Da Tal Al-Harrah, grazie a installazioni preesistenti (al tempo dell’Urss e prima della Guerra dei Sei giorni), i russi potranno tenere sotto controllo radar ed elettronico Siria, Israele, Giordania, Libano e tutto l’est del Mediterraneo, da Cipro fino alle coste della Turchia. Logico che l’intesa abbia fatto saltare dalle loro sedie i consiglieri diplomatici di Trump e mezzo Pentagono. È un regalo su un piatto d’argento fatto a Mosca e rientra nella strategia della Casa Bianca, quella di mollare tutto il mollabile per risparmiare fino all’ultimo nichelino.

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