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Covid: Aifa ha dato il via libera ad anticorpi monoclonali

Via libera dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), a due anticorpi monoclonali per il trattamento di Covid-19, con alcune condizioni e per una categoria limitata di pazienti, ovvero per una casistica limitata in fase precoce in pazienti ad alto rischio di evoluzione.

Intanto, con le dosi di vaccino che tardano ad arrivare, le categorie e gli ambienti più a rischio potrebbero trovare negli anticorpi monoclonali la protezione contro il Covid di cui hanno bisogno». Lo afferma all’AGI Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma, impegnato nella ricerca di anticorpi monoclonali efficaci contro il Covid-19.

"Unica arma farmacologica contro il coronavirus"

«Gli anticorpi monoclonali sono farmaci precisi, intelligenti e accurati che conosciamo da anni, e che oggi rappresentano l’unica arma farmacologica di cui disponiamo al momento contro il coronavirus», spiega Novelli. «Sono i cosiddetti 'farmaci biologicì, usati contro malattie come l’artrite reumatoide e, soprattutto, contro i tumori». E sono «gli stessi anticorpi che produciamo quando ci ammaliamo o facciamo un vaccino. La differenza è che sono già pronti ed utilizzabili come una sorta di immunizzazione passiva in quanto non vengono stimolate le cellule immunitarie che conferiscono una 'memorià per produzioni future, come avviene nel caso del vaccino. I monoclonali hanno una durata limitata nel tempo, durano un paio di mesi, fai un ciclo di trattamento e poi lo ripeti se necessario», osserva il genetista.
Essendo un farmaco gli anticorpi monoclonali «servono a curare innanzitutto. Funzionano contro il Covid specialmente nelle prime fasi della malattia, e la percentuale di successo nella cura dipende da vari fattori». Ma c'è un’altra funzione che, secondo Novelli, non può essere sottovalutata: «I monoclonali hanno anche un ruolo di protezione, cioè di profilassi. Chi è ad alto rischio, dunque, potrebbe utilizzarli per una protezione provvisoria. Penso ad esempio alle Rsa o alle persone fragili che potrebbero ricevere una sorta di protezione in questi mesi di ritardo nell’approvvigionamento delle dosi di vaccino».

"Permettono di ridurre la pressione sul sistema sanitario"

Non solo: «Secondo i dati citati da Eli Lilly in riferimento a uno studio di cui ancora non abbiamo i dettagli - precisa Novelli - i monoclonali sembrano contribuire al calo dei casi di ospedalizzazione e, di conseguenza, permettono di ridurre la pressione sul sistema sanitario» .
Per quanto riguarda i possibili effetti avversi, ammonisce il genetista, «è importante tener presente che gli anticorpi a volte possono promuovere l’infezione attraverso un fenomeno noto come ADE (Antibody-Dependent Enhancement)». L’ADE è stato osservato nelle risposte a molte malattie infettive. «L'ADE è dovuta all’assorbimento di immunocomplessi virus-anticorpo nelle cellule immunitarie dell’ospite come macrofagi e monociti in grado di attivare differenti pathways di segnalazione pro-infiammatorie con aumento della produzione di citochine pro-infiammatorie, diminuzione della produzione di citochine anti-infiammatorie e aumento della carica virale», rileva Novelli.

Ma cosa succede dopo il via libera dell’Aifa?

«Bisogna mettere giù dei protocolli clinici per individuare le persone, la dose, il momento in cui somministrare gli anticorpi», dichiara Novelli. Dove? «Con tutta probabilità negli ospedali, anche se potrebbe essere infuso anche in casa da sanitari oppure in Centri clinici autorizzati», chiarisce Novelli che ribadisce: «E' l’unico farmaco contro il Covid che abbiamo». E partendo da questo dato, l’esperto insiste sull'importanza di sperimentare più anticorpi monoclonali: «La chiave non è accaparrarsi tutti quelli della Lilly, perchè potrebbero non bastare o non funzionare sulle altre varianti del virus». Anche Novelli dallo scorso maggio è al lavoro sui monoclonali con l’Università di Toronto. «Sono anticorpi di ultima generazione: sintetici e aggiornabili come i vaccini a base di Rna», conclude. I farmaci di Novelli sono attualmente in sperimentazione sui topi, l’obiettivo è quello di testarli sull'uomo entro tre mesi, ma dipende dalla produzione e dagli investimenti disponibili.

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