Il ricordo di un uomo solo e coraggioso. Si chiamava Lucio Ferrami e venne assassinato dalla ’ndrangheta perché non s’era piegato ai desiderata dei boss. Proprietario di una impresa commerciale a Guardia Piemontese fu destinatario, nel 1981, di una richiesta di “pizzo” alla quale rispose picche. Non solo: denunciò agli investigatori quanto stava accadendo. Una scelta che in quegli anni lontani nessuno aveva mai mostrato l’audacia di compiere. Una scelta che gli costò la vita: venne assassinato, il 27 ottobre di 41 anni fa, mentre rientrava a casa in auto insieme alla moglie, che rimase ferita.
A Lucio Ferrami è intestata l’Associazione antiracket di Cosenza - l’unica esistente nell’area settentrionale della regione - che ha inteso indicarlo, dopo decenni di oblio, come una delle figure chiave della rivolta della società civile contro le cosche. Ferrami era stato completamente dimenticato e il suo sacrificio rimosso dalla memoria collettiva. All’imprenditore è pure intestato il presidio di Libera dell’Alto Tirreno cosentino.
A Acquappesa, in contrada Zaccani, , proprio nel punto in cui venne ammazzato, lungo la strada provinciale, è stata tenuta una partecipatissima manifestazione in sua memoria. C’erano il figlio, Pierluigi, la moglie, Maria Avolio, la sorella Franca e i rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine. Presenti il sindaco di Acquappesa Francesco Tripicchio e il sindaco di Cetraro Ermanno Cennamo.
«Per anni siamo stati vittime di una distorsione culturale – ha affermato il viceprefetto di Cosenza Osvaldo Caccuri – per cui nelle mafie si è parlato di rispetto e di uomini d’onore. Pensando a ciò che è successo qui quarant’anni fa ci rendiamo conto che non c’è alcun onore, né azione meritevole o valore nell’agire in gruppo contro un uomo solo. Per ciò che rappresenta ci inchiniamo a Lucio Ferrami, il cui gesto ha avuto come conseguenza la nascita di un’associazione Antiracket con la sua azione di contrasto e resistenza al crimine vigliacco e parassitario».
Don Ennio Stamile, referente calabrese di Libera, ha detto: «Lucio Ferrami è morto per difendere la sua libertà, la sua dignità e il suo lavoro. Diritti fondamentali, presenti nella Costituzione, che non possono essere calpestati».
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