Sul rigassificatore di Gioia Tauro si è detto tanto; proviamo a fare una semplice simulazione,insieme al coordinamento regionale “No Rigass Calabria”: ammettiamo per un momento che il sito nel quale l’impianto dovrebbe sorgere non sia attraversato da nessuna faglia sismica attiva, che il processo di rigassificazione sia esente da qualsiasi rischio di esplosione, che le due bocciature consecutive del progetto decretate dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici per la sismicità dell’area e la liquefazione dei terreni e della scarpata, siano state brillantemente superate in sede di progetto definitivo (che ad oggi non esiste ancora). E infine, che la garanzia fideiussoria a corredo della richiesta di autorizzazione, nonché la certificazione antimafia, richieste nel 2009 dalla commissione straordinaria che guidava il Comune di Gioia Tauro, siano andate a buon fine.
«Come è intuibile per il lettore – spiega l’urbanista Pino Romeo del Coordinamento – nessuno dei punti citati è in linea con la realtà dei fatti». Secondo l’attivista, infatti, la domanda seria che nessuno si è mai sognato di mettere sul tavolo è: cosa c’entra il rigassificatore più imponente d’Europa con il crollo annuale consolidato dei consumi?
«Quando il ministro Monti decretò nel 2012 di fare di Gioia Tauro un “hub del gas europeo” – spiega – guardava a una prospettiva di crescita dei consumi di gas in Italia, e pensava che la dotazione di infrastrutture metanifere fosse insufficiente». La realtà ha smentito queste previsioni: dopo il picco massimo di consumi registrato nel 2005, con 86 miliardi di mc di metano, è iniziata una inarrestabile discesa fino ad arrivare ai 68,5 miliardi di mc nel 2022.
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