Leader in campo, lo è stato anche in giacca e cravatta: diventato ct della sua nazionale nel 1984, dopo essersi visto sfuggire in finale contro l’Argentina di Maradona la Coppa del Mondo in terra messicana si è rifatto quattro anni dopo, a Italia '90, guidando Matthaeus e compagni al terzo titolo mondiale nella storia del calcio tedesco battendo all’Olimpico di Roma proprio l’ex Pibe de Oro. La breve parentesi negativa sulla panchina del Marsiglia non intaccherà il suo status, col ritorno all’amato Bayern che lo vedrà confermarsi un vincente da allenatore (una Bundesliga e una Coppa Uefa) e nel lungo percorso da dirigente, concluso nel 2009 - con la nomina a presidente onorario - e affiancandolo ad altri incarichi, sia nella Fifa sia nel Comitato organizzatore dei Mondiali 2006. Ma Beckenbauer è stato molto di più. Quel braccio fasciato a causa della spalla lussata durante i supplementari della Partita del Secolo, Italia-Germania 4-3 a Messico '70, alimenta sicuramente la leggenda di un giocatore che ha reinventato il ruolo di difensore - tanto da essere l’unico fra i suoi colleghi di reparto a vincere per due volte il Pallone d’Oro (1972 e 1976) - salendo già alla ribalta durante il Mondiale del 1966.
I record
Testa alta, sguardo fiero, un rivoluzionario nel ruolo di libero. E poi dirigente e soprattutto ct di successo: solo Mario Zagallo (ironia della sorte, scomparso nei giorni scorsi) e Didier Deschamps, come lui, sono diventati campioni del mondo in campo e in panchina. Il calcio, non solo quello tedesco, perde un altro pezzo di storia e dice addio a Franz Beckenbauer, il Kaiser per eccellenza. E’ stata la famiglia a dare l’annuncio, precisando che la scomparsa risale a ieri. Classe 1943 (nato a Monaco di Baviera l’11 settembre), una vita al Bayern Monaco prima da calciatore e poi dietro la scrivania, Beckenbauer è stato un’icona del XX secolo: il suo palmares parla da solo, sia a livello di club (tre Coppe dei Campioni, una coppa delle Coppe e quattro campionati con i bavaresi) sia con l’allora Germania Ovest, con l’accoppiata Europeo-Mondiali fra il 1972 e il 1974, senza dimenticare le finali perse nel '66, giovanissimo, contro l’Inghilterra e poi quella ai rigori con la Cecoslovacchia dieci anni dopo che poteva valere il bis continentale. Nel '77, a 32 anni, lo davano per finito: se ne andò a giocare negli Stati Uniti, ai New York Cosmos con Pelè, conquistando altri tre titoli prima di un breve ritorno in patria - in tempo per vincere la Bundesliga del 1982 con la maglia dell’Amburgo - e infine appendere le scarpette al chiodo ancora con i Cosmos.
Il ruolo
Il Kaiser non era un semplice marcatore - e pure in quello eccelleva, memorabile il duello con Bobby Charlton in finale - ma aveva anche libertà di costruire e attaccare, tanto da andare a segno 4 volte in quel torneo. Il concetto di "costruzione dal basso" tanto caro al calcio moderno nasce in parte con lui, con quel ruolo di "libero alla Beckenbauer" che ha rappresentato una vera e propria evoluzione/rivoluzione. "Era più brasiliano che tedesco", disse di lui una volta Pelè. Di sicuro è stato uno dei più grandi di sempre.
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