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Psg-Inter: storia di un divario troppo grande, di un calcio italiano al collasso. E ora c'è un Mondiale da conquistare

Giovani campioni da un lato, mentre dall'altro una squadra letteralmente svuotata. Il calcio italiano, pur portando una squadra in finale, non regge il passo e c'è il bivio della qualificazione al Mondiale da non fallire per la terza volta consecutiva

Donnarumma, classe 1999, Hakimi, classe 1998, Marquinhos, classe 1994, Pacho, classe 2001, Nuno Mendes, classe 2002, Joao Neves, classe 2004, Vitinha, classe 2000, Ruiz, classe 1996, Dembelè, classe 1997, Doué, classe 2005, Kvara, classe 2001. Inseriamo anche Mayalu, autore del gol del 5-0 di ieri in finale contro l'Inter, classe 2006. Questi sono gli anni di nascita degli 11+1 della formazione titolare che ieri sera ha surclassato la squadra di Simone Inzaghi dominandolo e battendola con un risultato senza appello: 5-0.

Un'Inter irriconoscibile, mai entrata in campo. Un'Inter alla quale è mancato tutto: approccio, grinta, pressing, idee, gambe, testa. Un'Inter che ha terminato un ciclo (in cui obiettivamente ha vinto poco rispetto al potenziale e alle possibilità concrete di poter vincere almeno due scudetti, vedasi quelli del 2022 e quello di quest'anno letteralmente sciupati). Sommer viaggia verso i 37 anni, Acerbi 37 anni li ha compiuti a febbraio scorso, Mkhitaryan ne ha 36, così come quasi Darmian. Lautaro Martinez, capitano di mille battaglie, non giocava dal 6 maggio scorso: 25 giorni senza neanche un minuto di partita nelle gambe. Un'Inter arrivata completamente svuotata all'appuntamento con la storia.

Detto questo, questa breve e certamente non esaustiva comparazione anagrafica deve far scattare l'ennesimo campanello d'allarme nei confronti di un calcio italiano sempre più malato cronico: una Serie A a venti squadre in cui il bagaglio tecnico si impoverisce sempre di più, un campionato imbottito a dismisura di giocatori stranieri, un campionato in cui è quasi praticamente impossibile vedere gente di 19-20-21 anni in rampa di lancio sia nelle grandi squadre, nelle medie e nelle piccole. Un calcio che avrebbe bisogno di una vera rivoluzione culturale per ripartire e progredire. Un calcio italiano che ha tolto a intere generazioni la bellezza di poter vedere l'azzurro della maglia della nazionale competere e brillare in una competizione mondiale. L'Inter è arrivata in finale due volte in Champions negli ultimi tre anni, ma non basta. Manca la visione, manca la progettualità, manca la reale capacità di puntare con serietà e dedizione sui giovani talenti che pur ci sono, ma non vengono non solo valorizzati, ma neanche presi in considerazione così come avviene in altre realtà calcistiche del vecchio continente.

Ora arriva l'appuntamento chiave da non fallire assolutamente: la qualificazione al Mondiale di Usa-Canada 2026. Già con la Norvegia l'Italia di Spalletti è davanti ad un bivio cruciale. Fallire anche questa volta, la terza volta consecutiva vorrebbe dire chiudere definitivamente la porta al presente e al futuro. Ma è un'ipotesi che non vogliamo prendere in considerazione: l'auspicio è che la pesantissima scoppola presa dall'Inter possa in qualche modo risvegliare le coscienze delle Istituzioni che governano a tutti i livelli il calcio italiano. Serve una riscossa immediata, ma per ripartire servono competenze, idee e coraggio.

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