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La serie tv di Sky girata in Sicilia: il viaggio di Anna alla ricerca del futuro

Intervista a Niccolò Ammaniti, già vincitore del Premio Strega nel 2007 nonché autore del romanzo omonimo (Einaudi Stile Libero, 2015) da cui è tratta la serie tv “Anna”, sbarcata sul palinsesto Sky (i sei episodi sono disponibili in streaming anche su NowTv). Dopo “Il miracolo” questa è la seconda prova alla regia per l’autore romano – che co-firma anche la sceneggiatura con Francesca Manieri – trasportando lo spettatore in una Sicilia selvaggia, quattro anni dopo l’esplosione di un virus, “la Rossa”, che ha ucciso gli adulti, consegnando il mondo ai bambini.

«Per Anna ho voluto un finale onirico, lasciando allo spettatore lo spazio per immaginare ciò che verrà, in un mondo selvaggio in cui c’è ancora posto per la speranza». Lo afferma Niccolò Ammaniti, già vincitore del Premio Strega nel 2007 nonché autore del romanzo omonimo (Einaudi Stile Libero, 2015) da cui è tratta la serie tv “Anna”, sbarcata sul palinsesto Sky (i sei episodi sono disponibili in streaming anche su NowTv). Dopo “Il miracolo” questa è la seconda prova alla regia per l’autore romano – che co-firma anche la sceneggiatura con Francesca Manieri – trasportando lo spettatore in una Sicilia selvaggia, quattro anni dopo l’esplosione di un virus, “la Rossa”, che ha ucciso gli adulti, consegnando il mondo ai bambini. Ammaniti in questa intervista per Gazzetta del Sud celebra l’isola e la bravura dei giovani attori, a partire dalla coppia di protagonisti – Giulia Dragotto e Alessandro Pecorella, 14 e 9 anni – nei panni dei fratelli Anna e Astor in cerca di salvezza e in fuga dalla morte.

Perché ha scelto di ambientare Anna in Sicilia?
«La Sicilia, in Anna, rappresenta la possibilità di un futuro, la speranza. Sapevo che non volevo girare a Roma o Milano, ma è stato cruciale un viaggio in Sicilia con mia moglie – l’attrice Lorenza Indovina (Michela Gambino in “Rocco Schiavone”) – e così, mi sono reso conto che l’isola era il set ideale. La Sicilia come un mondo chiuso, verso un futuro possibile».

La ricerca delle location è stata faticosa?
«Lunga ma fondamentale. Ancor prima di cominciare, ho immaginato che il viaggio di Anna sarebbe partito da Marsala per arrivare sino a Messina, passando dall’Etna. La Sicilia è centrale, racconta con le immagini un mondo selvaggio, surreale, potente. Ho trovato molti luoghi suggestivi, coprendo quasi tutta l’isola. A Palermo e dintorni abbiamo girato alla Fiera del Mediterraneo e in diverse dimore storiche (fra cui Palazzo Sammartino e Palazzo Cutò), cercando posti evocativi, come villa Valguarnera a Bagheria, Porto Empedocle, il lido Aragosta a Messina e l’autostrada Messina-Catania, fra rovi e natura selvaggia».
Sull’Etna, fra crateri lunari, Anna e Pietro vivono una disavventura e c’è una potente metafora…
«L’Etna è in mano ad una banda di ragazzi che impongono delle regole in base al loro umore. Li faranno prigionieri e il capo, in modo volutamente confuso, racconterà una storia ad Anna: un giorno, un serpente ingoia un gatto e dopo un cane che, trovandosi nello stomaco insieme, potrebbero cooperare e invece combattono, ma proprio nel conflitto trovano la salvezza».

Metafora del mondo?
«In parte. Racconta l’impossibilità di cambiare la natura umana».

Anna, in questo mondo day-after, contrappone la legge della giungla alla cooperazione per la salvezza. Lei in cosa crede?
«Ovviamente professo quest’ultima, credo nella fratellanza. Credo nella necessità di insegnare i valori ai più piccoli attraverso la conoscenza, senza la quale è arduo immaginare ciò che verrà. La giovane Anna rappresenta un legame con il passato, un’idea di futuro in un mondo che vive nell’eterno presente».

Ecco l’importanza del Libro delle Cose Importanti, lasciato in dono dalla madre?
«Esatto. Il quaderno rappresenta la conoscenza, ribadisce l’importanza del sapere. Non dobbiamo dimenticarci dei bambini che sono buoni, feroci o cattivi in base agli insegnamenti e ai valori che danno gli adulti».

E oggi, nella nostra società, ci siamo dimenticati dei bambini?
«Sono molto marginali. Lo dimostra il fatto che li abbiamo lasciati per un anno dinanzi ai computer, chiusi in casa, impossibilitati a tornare a scuola. I bambini talvolta soffrono dolori indicibili, li somatizzano e se li portano dietro tutta la vita. Invece, rappresentando il futuro, dovremmo metterli al centro di tutto».

Ha lavorato in un set pieno di attori giovanissimi. Com’è andata?
«All’inizio ero timoroso, non avendo figli non avevo esperienza e non sapevo cosa attendermi ma mi hanno conquistato subito, trasmettendomi la gioia, la leggerezza di stare sul set giorno dopo giorno. Il cinema significa anche giocare, immaginare un mondo che non c’è, una magia che i bambini conoscono bene».

Tantissimi attori siciliani nel cast, tutti bravissimi. Sorpreso?
«Molto. Il casting è stato molto impegnativo, per il ruolo di Anna abbiamo visto duemila ragazze e in totale abbiamo fatto circa 14mila provini. Il livello generale della nuova classe di attori e attrici siciliani è davvero alto».

Da “Non avere paura” a “Io e Te” e “Come Dio comanda”, c’è sempre una prospettiva ad altezza bambino nei suoi libri.
«Mi affascina molto, sì. Non cerco un messaggio ma una evoluzione, voglio capire il mondo e metabolizzarlo. E lo faccio spesso ad altezza bambino».

Finale aperto: ci sarà una seconda stagione?
«Potrebbe ma io amo i finali che lasciano spazio alla fantasia dello spettatore. Chissà…».

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