Ha vinto l’utopia de “Il Palazzo”, con vista su San Pietro, nel cuore di Roma. Il proprietario, come un mecenate rinascimentale, lo mette a disposizione, tra gli anni Settanta e Ottanta, a un’eclettica comunità di amici che ne trasformano ogni angolo in un set cinematografico permanente. E Mauro, il più carismatico del gruppo, dirige gli altri in un film visionario, isolandosi sempre più dal mondo esterno, fino a non uscire più da quella casa. “Il Palazzo” è frequentato per un periodo anche dalla regista del documentario, Federica Di Giacomo, che ritorna in quel luogo per la veglia funebre di Mauro. «Il film – spiega la Di Giacomo – vive di quella particolare energia che si sprigiona dopo il contatto con la morte che rappresenta anche la fine della giovinezza e del gioco, fatta di domande sul senso e sulla capacità di costruire qualcosa che rimanga, in una società che rimuove costantemente proprio la morte».
A questa riflessione sui sogni infranti è andato il Premio Tasca d’Almerita, al termine di quattro giorni di proiezioni e incontri che hanno animato la quindicesima edizione del SalinaDocFest, il festival del documentario narrativo, ideato e diretto da Giovanna Taviani. Questa la motivazione della giuria composta da Catherine Bizern (Cinéma du Rèel), dal regista François Caillat e presieduta da Richard Copans (Les Film d’Ici): «Il film che noi abbiamo scelto è una proposta generosa e affascinante, un film corale che chiama in causa la storia del cinema. Ci fa incontrare una comunità che si è fondata sulla fede assoluta nel cinema e che attorno al suo protagonista ha passato la propria giovinezza girando un film come fosse un capolavoro. Cosa resta oggi delle loro vite dopo che l’utopia si è dissolta nel tempo?».
I giurati hanno, inoltre, assegnato una menzione speciale a “The Blunder of love” di Rocco Di Mento giudicandolo «un film che racconta la mitologia di una famiglia: quella del regista. Una storia, al contempo, di amore folle e di odio, di ricordi e di rimozione, di certezze e di dubbi. Ovvero la materia complessa e contraddittoria che caratterizza lo spessore delle nostre vite». Il regista ha spiegato la genesi del suo lavoro: «Quando ho iniziato a concepire questo film, la mia intenzione era quella di trovare una soluzione a un conflitto senza fine che si estende da tre generazioni nella mia famiglia. Un manoscritto ingiallito ritrovato mi ha fatto capire perché tanto dolore continuava ad albergare tra noi: il fallimento dell’immagine di mio nonno di un amore perfetto e di una famiglia felice ha finito per traumatizzare tre generazioni, incapaci di esprimere amore e tenerezza».
Il Premio Signum 2021 lo ha conquistato “Naviganti” di Daniele De Michele “Donpasta”, figura bizzarra e geniale di dj, cuoco, filosofo e regista: il verdetto lo ha espresso una giuria formata da alcuni studenti dell’educandato scuola Maria Adelaide di Palermo e dagli allievi dell’Istituto Isa Conti, Eller Vainicher di Lipari. A loro il film è piaciuto «per essere riuscito, con l’abilità costruttiva di un ostinato visionario, a suggerire nuove soluzioni che diano spazio e respiro all’arte, nelle sue diverse forme, intesa come linguaggio universale, ma anche come terapia per il corpo e l’anima, necessaria a superare e lenire l’attuale periodo di disagio emotivo ed esistenziale che stiamo attraversando». Nel film il regista racconta la sua quotidianità intrecciata a quella di una scenografa disoccupata, un musicista senza spettacoli, un contadino poeta. Artisti, gli unici a non riprendere il loro lavoro nell’agosto del 2020, dopo il lockdown. “Donpasta”, considerato dal New York Times «uno dei più inventivi attivisti del cinema», spiega: «Ho seguito i protagonisti per un anno e mezzo, per capire come sarebbe cambiato il mondo e come, di conseguenza, sarebbero mutate le loro vite».
Ieri sera il SalinaDocFest ha salutato le Eolie per trasferirsi a Roma, dal primo a 3 ottobre.
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