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"Il buco" di Frammartino, l'avventura di raccontare dentro buio e silenzio

Il regista Frammartino e il suo film “Il buco”. "Lavorare in Calabria? Per me è una sicurezza..."

«Lavorare in Calabria è una sicurezza; non mi è mai sfiorato il dubbio che potesse essere il contrario». Si è presentato così al pubblico reggino Michelangelo Frammartino, il regista del film IL BUCO, premio speciale della Giuria alla 78° Mostra del Cinema di Venezia.

Senza parole, senza musica e senza luce, l’opera realizza tutta la magia che può raggiungere la macchina da presa quando, nella massima libertà, indaga spazi incontaminati (qui la natura aspra del Pollino). Incentrato su una narrazione muta dell’esplorazione del 1961 all’Abisso del Bifurto, a 700 metri per la prima volta nella storia d’Italia, “Il buco” è una produzione Doppio Nodo Double Bind con Rai Cinema, in coproduzione con Société Parisienne de Production (Francia), Essential Filmproduktion (Germania), con il sostegno della Calabria Film Commission (quella, smantellata, di Giuseppe Citrigno, con la mission di fare della Calabria set privilegiato del cinema d’autore) e con la collaborazione e il Patrocinio del Parco Nazionale del Pollino.

 

È intimo ed innovativo il viaggio che ne deriva: l’aspetto visivo è potentissimo, e si fa carico della narrazione. E l’elemento umano (non solo gli speleologi, ma anche un pastore che sembra una antica divinità rurale) cambia dimensione, nel rapporto con una Calabria sorprendente, nella sua anima primordiale e selvatica. L’Abisso del Bifurto, i piani del Pollino, San Lorenzo Bellizzi, le fiumare di Civita e Cerchiara sono le location dell’ultima fatica cinematografica di Frammartino, dopo “Il Dono” e “Le quattro volte”, premiato a Cannes. Dopo Cosenza e Locri, la Multisala Lumiére, guidata da Enzo Mammoliti, ha ospitato la proiezione del film preceduta da una anteprima (moderata da Raffaella Salamina, direttore de “Il giornale off”), protagonisti lo stesso regista e la sceneggiatrice Giovanna Giuliani.

«Faccio parte di quei calabresi nati a Milano e mi vanto di non avere mai perso il gusto, in tutti questi anni, di prendere in mano la mia macchina da presa per raccontare la Calabria. Una terra di grande cultura mediterranea, di accoglienza e di sconfinamento, perché qui il rapporto spazi-natura è sempre aperto», ha rilanciato Frammartino.
Nasce così una originale controstoria che balza agli onori della cronaca. Se gli anni 60 sono quelli del boom, della luce e dei grattaceli che si vanno costruendo a Milano, “Il buco” è invece una vicenda di silenzio e di buio. «Nel 2016, partecipando a un campo assieme allo speleologo Giulio Gecchele, sono venuto a sapere di un gruppo di giovanotti che nel 1961 scendeva da un Nord per cimentarsi, nel profondo Sud, in un’attività gratuita come la speleologia. Avevano scelto – ha raccontato il regista – le grotte, senza cercare vittoria e notorietà. Era pertanto una vicenda destinata alla sconfitta, ma me ne sono innamorato. Sfidammo l’isolamento ed il vuoto, le leggi dello spazio e del tempo, per raccontare, con la maestria fotografica di Renato Berta, l’avventura di esplorare altre profondità».
Da qui, quello «sguardo verticale» che accompagna lo spettatore nel Pollino, l’anima unificante, sempre in movimento perché, durante le riprese, non si è dimenticata di tremare. «Questa pellicola somiglia molto a un documentario dove la storia solitaria del vecchio pastore che decide di seguire direttamente l’avventura degli speleologi s’intreccia suggestivamente con quella del gruppo. Siamo subito stati chiamati – ha aggiunto Giovanna Giuliani – ad una sfida: riuscire a “corteggiare” il paesaggio; portarlo dalla nostra parte. Questo perché immortalare il fondo di un abisso non è una operazione semplice per regista e interpreti; i tempi esplorativi non sono quelli televisivi».

Così, “Il buco” entra tra i film italiani in concorso alla Mostra di Venezia. «Per me non è stata affatto una sorpresa; la qualità del regista era una garanzia per tutti. Il film è uno straordinario atto di amore che Frammartino rende alla sua terra e, finalmente, le consente di staccarsi da tutti quelli stereotipi che la hanno preceduta. Oggi, grazie a quest’opera, la Calabria si presenta con immagine diversa sul mercato cinematografico – ha ammesso Citrigno, ex presidente della Film Commission, presente alla proiezione nel suo ruolo di presidente dell’Anec (associazione esercenti cinema) Calabria – . “Il buco” è un’opera emozionale che catapulta nei valori più autentici della Calabria. Il Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia è una testimonianza dell’alto valore artistico della pellicola, definita dal direttore artistico della Mostra Alberto Barbera “un diamante puro”».
Andiamo tutti a vederlo.

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