Lunedì 23 Dicembre 2024

Quel Moro liberato dalle Br: in anteprima alla Festa di Roma la serie di Bellocchio “Esterno Notte”

Schietto e ironico, senza tradire l’autorevolezza che lo ha sempre caratterizzato, il regista Marco Bellocchio, protagonista ieri dell’ “Incontro ravvicinato” alla Festa del Cinema di Roma, si è raccontato attraverso un excursus tra la migliore cinematografia italiana e straniera, ma soprattutto ha presentato in anteprima mondiale tre bellissime, e perturbanti, scene di ESTERNO NOTTE, la serie tv sul rapimento Aldo Moro, con Fabrizio Gifuni nei panni dello statista. In particolare quella che si svolge in un ospedale completamente blindato dalle forze dell’ordine, dove vediamo un Aldo Moro redivivo, molto provato, a letto e con la barba lunga, che riceve le visite di Andreotti, Cossiga e Zaccagnini e che esprime davanti a tutti la sua gratitudine per le Brigate Rosse che lo hanno liberato: «Provo gratitudine nei confronti della generosità delle Brigate Rosse. A loro devo la restituzione della vita e della libertà. Dopo quello che è accaduto provo completa incompatibilità con il partito della Dc e rinuncio a tutte le cariche, anche quelle future. Mi dimetto». Un un’altra scena c’è proprio un incontro tra Paolo VI (interpretato da Toni Servillo) e Moro, che cerca di convincere il Papa dell’opportunità di avere l’appoggio del Pci. Alle pacate rimostranze del Pontefice, Moro replica spiegando che non si tratta di un’alleanza, ma solo di un appoggio esterno. Infine anche una scena di scontri datata il 12 marzo del 1978, quattro giorni prima del rapimento di Moro, in cui un gruppo di sinistra si scontra con la polizia a Piazza del Gesù, allora sede della Dc, mentre Moro assiste dal balcone, visibilmente turbato. «È la prima volta di una serie e dico, forse con una battuta tenebrosa, che avendo una certa età forse è la prima e l’ultima volta» sottolinea con ironia Bellocchio prima di mostrare le sequenze. «L’idea mi è venuta in occasione del 40. anniversario della morte di Moro, quando ho visto una sua foto in doppiopetto al mare sulla spiaggia di Torvaianica, con la figlia invece in costume. Lui impassibile si faceva fotografare. Mi parve allora che potesse essere interessante ribaltare il campo rispetto a “Buongiorno notte”, film tutto interno con Moro nella doppia prigione dei brigatisti, cercando di guardare fuori. La serie ha infatti un suo svolgimento classico, che parte dalla strage e poi sta sui personaggi che vivono dall’esterno la prigionia di Moro: Cossiga, Zaccagnini, Andreotti, Eleonora Moro e i terroristi, fino all’epilogo». Quanto alla visione di Moro libero, «non è la prima volta che succede, l’ho già fatto passeggiare proprio in “Buongiorno notte”, quando i panni di Moro li vestiva Roberto Herlitzka. Dopo quella tragedia è come poi se la storia italiana abbia preso una nuova direzione. E c'era la speranza di noi giovani della classe media che Moro venisse liberato e ci siamo stupiti che non sia avvenuto». Esterno Notte è una serie Rai prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment, società del gruppo Fremantle, con Simone Gattoni per Kavac Film in coproduzione con Arte France, in collaborazione con Rai Fiction. Nel cast, accanto a Fabrizio Gifuni e Toni Servillo, anche Margherita Buy, il palermitano Fausto Russo Alesi, Gabriel Montesi e Daniela Marra. La serie è scritta da Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino. Stimolato da Alberto Crespi e Richard Pena, il regista emiliano – allievo di Camilleri nel suo corso di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia – ha parlato del grande amore per il cinema italiano degli anni d’oro. Poche le eccezioni nella cinematografia straniera, come il Resnais di “Hiroshima Mon Amour” e il Tony Richardson di “Gioventù, amore e rabbia”. «Nel periodo della Nouvelle Vague francese e dei godardiani c’era un cinema italiano che mi ha formato – ha detto – che è quello di Fellini e Antonioni, ma anche di Visconti. In “Senso” lui ha saputo unire il grande cinema realistico di Renoir con l’opera e il teatro». Prendendo spunto da una clip de “I pugni in tasca”, con un Lou Castel dal volto bergmaniano, Bellocchio ha confessato il suo complesso rapporto col melodramma: «È stata un’opera di formazione che ho poi ripudiato. Progressivamente ho riconosciuto quanto il melodramma abbia fatto parte della mia formazione, e in “Vincere” l’ho usato in una forma più seria e meno sprezzante».

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