«Io ho avuto la fortuna di non soffrire mai di essere un figlio d’arte. Anzi. Ma mio figlio Brando, poveraccio, non ha solo il padre. Ha anche il nonno, la nonna e pure lo zio Carlo Verdone con cui fare i conti. Lui è preparatissimo, ha studiato tanto negli Stati Uniti, ma, come si dice, è proprio messo sotto». Sorride, di quei sorrisi pieni di orgoglio, Christian De Sica, mentre al telefono con l’Ansa ripercorre un ideale gioco di passaggi di testimone. Proprio mentre suo figlio è a Napoli su un nuovo set da regista, ricorre l’anniversario della morte di papà Vittorio (7 luglio 1901 - 13 novembre 1974), padre del grande cinema italiano, del Neorealismo e delle commedie delle maggiorate, l’uomo che inventò Sophia Loren e illuminò i primi varietà della tv in bianco e nero. Per la ricorrenza, proprio a lui Christian De Sica ha dedicato il palinsesto della sua Domenica con, lo spazio curato da Enrico Salvatori e Giovanni Paolo Fontana, in onda oggi dalle 14 alle 24 su Rai Storia. In tutto, dieci ore di programmazione, che ripercorre alcuni momenti della sua carriera di attore, regista, uomo di spettacolo. «Mi fa sempre piacere quando posso parlare del suo lavoro – racconta Christian all’Ansa – Purtroppo questo è un paese che dimentica facilmente. Non solo lui, vedi anche Anna Magnani». In quest’occasione ha scelto di rivedere alcuni pezzi meno conosciuti della sua lunga carriera, da «Vittorio De Sica: autoritratto», firmato nel 1964 da Giulio Macchi, all’omaggio fatto da Christian stesso nel 1977 in «Bambole non c’è una lira». E poi il Musichiere con Mario Riva, nel 1960, le performance a «Studio Uno» con Mina, «Stasera Gina Lollobrigida», «Canzonissima» (l’ultima nel 1972 proprio insieme). Il De Sica regista, invece, è nel suo primo e unico lavoro per la tv, un documentario dedicato al 25 anni della Repubblica Italia, mentre in prima serata c’è il film drammatico “Il viaggio» del 1974, tratto da Pirandello e interpretato da Sophia Loren e Richard Burton (ma non manca anche un omaggio a un grande amico di famiglia, Cesare Zavattini con lo speciale “Cesare Zavattini: così parlò Za”). «Cosa mi è rimasto più addosso di mio padre? La consapevolezza che questo mestiere non si improvvisa. Bisogna studiare e tanto, soprattutto per le opere popolari, comiche. Lo diceva sempre: Ladri di biciclette si può fare con la mano sinistra, la comicità invece è una cosa seria. E poi, mi ha insegnato a non alzare mai la testa: per questo ogni giorno mi affaccio alla finestra e dico “grazie”».