Esterno notte. Spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Il corpo di Pierpaolo Pasolini viene ritrovato riverso a terra con evidenti e inequivocabili segni di una brutale aggressione. E’ il 2 novembre del 1975. Qualche minuto prima, non molto distante, i carabinieri fermano l’Alfa 2000 Gt dello scrittore con alla guida Pino Pelosi, diciassette di Guidonia Montecellio soprannominato "ranocchia". E’ lui a confessare. E' lui a parlare di una reazione violenta alle insistenti avances di Pasolini. Un racconto che non convince totalmente; troppi buchi in quella ricostruzione, troppi dubbi, dettagli che non collimano e che sollevano quesiti che fin da subito alimentano teorie complottiste, che insinuano il sospetto che "ranocchia" abbia raccontato una storia a metà, occultando complici e favoreggiatori.
Le piste seguite (dal riscatto delle pizze di Salò rubate, alla spedizione fascista) acquistano vigore per poi perdere consistenza. La nebbia del decennio più nero della Repubblica avvolge anche questa storia. L’unica certezza è che in quella terra umida di Ostia perde la vita uno dei più grandi intellettuali del '900. Di sicuro il più complesso. Pierpaolo Pasolini, nato 100 anni fa a Bologna (era il 5 marzo del 1922), è stato un intellettuale vero, diremmo multicolor per le sue sensibilità tutte diverse fra loro e che a un primo giudizio parrebbero contrastanti se non apertamente in conflitto.
Da intellettuale libero sfidò la scure della censura trattando temi fin troppo trasgressivi per l’epoca. Come la prostituzione minorile in "Ragazzi di vita". Poi sarà la volta di titoli di spessore come "Una vita violenta", o "Teorema" o ancora dell’incompiuto "Petrolio". Ma è nei suoi scritti, nei suoi saggi, nei suoi articoli, nei suoi commenti che si manifesta quell'interventismo politico e culturale tipico dell’intellettuale che non teme di esprimere un pensiero critico. Nel '68, dopo i noti scontri di Valle Giulia, Pasolini assunse una dura posizione contro i giovani, accusandoli di imbastire una falsa rivoluzione, tacciandoli di essere borghesi conformisti e disprezzandoli nel definirli "figli di papà". "Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri" scrisse. L’apice della sua generosa attività di saggista verrà toccato nel 1973, con l’avvio della collaborazione con il "Corriere". Scrisse di politica, società e costume.
Polemista vivace e schietto. Guardò con attenzione i radicali ma non arretrò di un centimetro sulle sue posizioni anti-abortiste. Rimase fino agli ultimi anni lucidamente critico della società, compì numerosi viaggi in Oriente, riservò attenzioni al suo corpo oltre che al suo intelletto. Non temette mai il giudizio delle menti altrui né tantomeno quello della legge. Coltivò amicizie vere, che sconfinavano dal recinto delle élite culturali, per impregnarsi di quel sottoproletariato fatto di una umanità variegata e ruvida, che brulicava febbrile tra le antiche trattorie di Trastevere e San Lorenzo. Alimentò il suo amore per la bellezza e la natura. Fu un genio assoluto dalle molteplici sfaccettature. Forse il più acuto intellettuale del suo tempo; di certo Pierpaolo Pasolini fu libero nel raccontare il mondo. Infischiandosene degli scandali, delle mezze misure, del pensiero comune.
Cattolico, comunista e omosessuale. Definizioni apparentemente discrepanti, e che per tale ragione lo renderanno inviso a chi alle categorie apparteneva. Era un pensatore difficile da incasellare, spesso controcorrente; un anticonformista non per vezzo ma per indole. Capace di intestarsi battaglie in solitaria, con il rischio di isolarsi anche rispetto ai circoli a lui più vicini. D’altronde Pasolini era un uomo solo ma che sorretto da un incrollabile fede verso i suoi ideali non temeva il giudizio altrui. Neppure della giustizia, dinanzi la quale comparve 24 volte. Da atti osceni a corruzione di minore, da vilipendio della religione di Stato a offesa al comune senso del pudore; lo scrittore viene pure accusato di avere compiuto una rapina a mano armata in un distributore di benzina.
E non si fermava neppure dinanzi i consigli di chi, Fellini su tutti, gli suggeriva di abbandonare il cinema, magari convincendolo a dedicarsi alla letteratura, alle poesie. Eppure i suoi film rappresentano una pietra miliare della cinematografia. Pellicole come "Accattone" o "Mamma Roma" offrono uno spaccato della Roma degli ultimi, dei reietti, di prostitute e papponi, di miserabili e delinquenti. Di ragazzini di strada che tirano a campare con furti e furberie. Una filmografia che si eleva quando tratta temi più spirituali. "Il Vangelo secondo Matteo" è un capolavoro stilistico. Si serve per il cast di contadini lucani; impiega comparse sconosciute e amici di una vita, mentre alla madre Susanna affida il ruolo della Madonna anziana. La critica cattolica ne diede un giudizio più che positivo. A metà degli anni '60 un’altra monumentale opera, "Uccellacci e uccellini", con Totò e Ninetto Davoli. Gli anni '70 furono molto prolifici per Pasolini. Sono gli anni della "Trilogia della vita"; "Il Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle mille e una notte". Ma la macchina da presa non ha mai allontanato Pasolini dalla scrittura: dalla prosa e dalla poesia. In tutti i suoi scritti emerge quell'empatia verso i ripudiati della società, gli emarginati.
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