Venerdì 22 Novembre 2024

La bellezza di essere ingenui. A Venezia in concorso «Finalmente l’alba» di Saverio Costanzo

Il fascino del cinema, lo stupore di un set, il sogno di fare l’attrice e la Hollywood sul Tevere degli anni 50, di Liz Taylor e Richard Burton, delle bighe e delle piramidi ricostruite a Cinecittà, il sogno di «Bellissima» e quello di Fellini ma anche «dell’immagine archetipica della donna usata e buttata via, quel corpo sulla spiaggia di Capocotta dell’aspirante attrice Wilma Montesi, la perdita dell’innocenza»: Saverio Costanzo racconta «Finalmente l’alba», in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Un film kolossal da 28 milioni di euro, un budget inusuale per un’opera italiana e un cast internazionale con Lily James e Willem Dafoe (assenti per lo sciopero), la giovane protagonista Rebecca Antonaci, Alba Rohrwacher nei panni di Alida Valli, e poi ancora Sofia Panizzi, Joe Keery, Rachel Sennott e un cameo en travesti di Michele Bravi. Una produzione Wildside con Rai Cinema (in collaborazione con Fremantle, Cinecittà, Filmnation), in sala con 01 dal 14 dicembre. «Sono una persona del Novecento, per me – dice Costanzo – il cinema è ancora centrale, niente ha più fuoco, spinta propulsiva come le immagini in una sala buia, guardare i film è un’esperienza formativa, un insegnamento che ci cambia, ci porta lontano. Non so se per un giovane è così, per i miei figli lo è, ma secondo me affascinante come il cinema non c’è altro, una passione focosa». Usualmente le opere di Costanzo, «Hungry Hearts», «Private» ma anche la serie «L’amica geniale», hanno estrazione letteraria, «Finalmente l’alba» invece no. «Sono partito dal caso Montesi, da quella foto di quel corpo a faccia in giù abusato, così simile a tante tragedie degli stupri e dei femminicidi di oggi, perché, diciamolo, in Italia per una donna la vita non è facile per niente proprio, culturalmente. E mi sono immaginato che un’aspirante attrice come era stata Wilma avesse quello stesso sogno e da lì è partito tutto il racconto, che incrocia quella storia di cronaca, quel caso mediatico, per seguire in parallelo Mimosa, il simbolo di ingenuità, di purezza, di semplicità che in un giorno e una notte cambia ma senza perdersi e alla fine esce come una leonessa». Una Mimosa costruita pensando a Giulietta Masina, «con la sua femminilità non scontata, buffa, non convenzionale, una ventata di aria fresca rispetto all’immagine stereotipata delle donne e in Rebecca Antonaci ho visto una sua nipote. Lavorare su un personaggio femminile è interessante, mi fa crescere come uomo, un esercizio, quello di assecondare il femminile, che farebbe bene a tutti». «Finalmente l’alba», con Cinecittà con la sua storia gloriosa protagonista è un film con il mestiere dell’attore al centro, «un mestiere difficilissimo, serve un grande coraggio, sono quelli che rischiano di più, sono i nostri eroi», spiega il regista. «Penso alle dive di quell’epoca alle star degli anni 50, deve essere stato un inferno corrispondere in ogni momento all’immagine artificiale costruita su di loro, essere fatali, seducenti e nel film lo racconto, solo con una pura come Mimosa che non li giudica, che è una pagina bianca, riescono ad essere se stessi. Il marcio del caso Montesi? Non è il cinema, non penso sia un mondo infernale, piuttosto lo sono gli squali da salotto, i predatori che sfruttano ed usano, soprattutto le donne». «Mimosa – sottolinea all’Ansa Saverio Costanzo – guarda il mondo con candore, senza rincorrere a furbizia, scaltrezza che è quello che ci viene sempre suggerito dalla società oggi, del farcela a tutti i costi a prescindere da tutto, magari calpestando gli altri. L’invito che fa Mimosa allo spettatore che riesce a riflettersi in lei è di avere coraggio della propria semplicità, innocenza, crederci e cercare di rimanere così. Nell’epilogo prende coscienza della sua forza ma questo non significa che si adatterà». Infine, la dedica al padre, a Maurizio Costanzo, «la mia pudicizia è nota, non ho facilità a parlare del privato, ma certo è il minimo che potessi fare».

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