Nelle sale il kolossal italiano sulla storia di un eroe moderno che ha sconfessato le regole della guerra per abbracciare le leggi del soccorso in mare e del rispetto per la vita. «Comandante» di Edoardo De Angelis, prodotto da Indigo Film e O’ Groove con Rai Cinema e distribuito da 01, ha aperto con successo il concorso della Mostra del cinema di Venezia ed è stato proposto alle Giornate del Cinema per la Scuola di Palermo, nell’ottantatreesimo anniversario della vicenda narrata. Una storia di coraggio che durante la Seconda Guerra Mondiale vide protagonista il comandante messinese Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino), a capo del sommergibile Cappellini della Regia Marina. Il 16 ottobre 1940, dopo aver affondato a largo dell’Atlantico il Kabalo, piroscafo mercantile belga che aveva aperto il fuoco, Todaro decise, contro il parere dei superiori, di salvarne i 26 naufraghi, alla deriva su una zattera a centinaia di miglia dalla costa.
«Un modello diverso di forza – ci dice il regista – quella di un uomo che tende la mano al debole, non sopraffà o colonizza, ma aiuta».
La vicenda parla di morale in senso kantiano, come imperativo personale, non oggettivo, che Todaro ha scelto di seguire, sconfessando le prescrizioni imposte dal suo ruolo. In questo senso il film ha un alto valore pedagogico…
«L’idea di morale kantiana da un lato impone rispetto e dall’altro è rassicurante, perché altrimenti l’essere umano rischia di essere disorientato rispetto a leggi, precetti, moda o gusto. Esistono invece categorie universali che appartengono ad ogni essere umano ed è a quelle che ogni individuo sano dovrebbe uniformarsi, perché sono quelle che alla fine la storia premia. Todaro contravviene alle regole di ingaggio, così come indicate da coloro che nell’Atlantico sovrintendono alle operazioni dei sommergibili italiani e tedeschi. Eppure mentre l’ammiraglio Doenitz sarà condannato al carcere a Norimberga, Todaro verrà insignito della medaglia al valore militare. Questo vuol dire che adeguarsi alle leggi universali che regolano l’umanità alla lunga premia, necessariamente».
Il salvataggio in mare e l’accoglienza. Temi purtroppo attuali e molto dibattuti oggi a livello politico e sociale. Che eredità lascia questa vicenda, avvenuta in uno dei periodi più bui della Storia?
«Lascia un’eredità di memoria intesa come traccia che può diventare una guida, un faro. Se anche nell’abominio nella guerra, un individuo decide, in mezzo alle domande incessanti del proprio equipaggio, di accogliere gli uomini inermi della nave che ha affondato, dicendo “no, in mare si fa così e sempre si farà”, dà un grande insegnamento che va oltre il momento storico contingente».
A chi gli chiese il motivo della sua impresa, Todaro rispose «Perché sono un italiano». Una frase oltre la classica retorica dell’eroismo militare…
«Non amo la retorica militare e degli eroi. Mi interessano gli esseri umani e se uno di loro è capace di pronunciare parole del genere facendomi vibrare, mi fa riconciliare anche col mio essere italiano. Da uomo del Sud vivo una forma di conflittualità storica rispetto alla nascita di questa nazione e all’idea che l’italianità venga sbandierata come baluardo di chiusura o peggio di supremazia, piuttosto che di accoglienza e apertura. Recupero l’orgoglio di essere italiano nel momento in cui un uomo come Todaro da lontano mi dice “Noi siamo italiani perché aiutiamo, perché lasciamo la porta aperta”».
La genesi del film ha una forte connessione con la nostra storia contemporanea, poiché è stato concepito quando l'ammiraglio della Guardia Costiera Giovanni Pettorino citò Todaro in riferimento alle politiche governative di allora contro le Ong. Realizzare “Comandante” è stata un’esigenza?
«Pettorino per aver raccontato la vicenda di Todaro è stato osteggiato e per 4 anni ha continuato a salvare gente in mare non dandone notizia. Si è verificata l’assurda condizione per cui un corpo dello Stato che agisce in conformità alla propria missione assuma toni eversivi, come è successo anche a Mimmo Lucano. È necessario eliminare questo assurdo teorema, e col co-sceneggiatore Sandro Veronesi abbiamo voluto dare un segno con una storia dai toni universali».
Nel cast del film anche Silvia D’Amico, Massimiliano Rossi e l’attore catanese Danilo Arena.
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