Domenica 24 Novembre 2024

Cinema, è morto a Roma all'età di 92 anni il regista Paolo Taviani

Italian director Paolo Taviani arrives for the premiere of 'The Sisters Brothers' during the 75th annual Venice International Film Festival, in Venice, Italy, 02 September 2018. The movie is presented in the official competition 'Venezia 75' at the festival running from 29 August to 08 September 2018. ANSA/CLAUDIO ONORATI

Rigore e impegno civile: questa la cifra dei Taviani, la coppia più affiatata di tutte, quei fratelli toscani che scesero a Roma negli anni '50 per cambiare il mondo e riuscirono a cambiare il cinema italiano. Dopo la scomparsa di Vittorio, il 15 aprile 2018, se ne va oggi a 92 anni, nella clinica villa Pia di Roma, dopo una breve malattia, anche Paolo Taviani. Lunedì 4 marzo la cerimonia laica funebre alla Promototeca del Campidoglio, dalle 10 alle 13. Il suo ultimo film, in solitario, «Leonora addio», presentato in concorso a Berlino nel 2022, segue il rocambolesco viaggio delle ceneri di Pirandello, da Roma ad Agrigento, a quindici anni dalla sua morte: «Siamo cresciuti insieme io e Vittorio e sempre lavorando», ha raccontato Paolo in quella occasione. "Sento ancora dietro di me il suo fiato. Anche a lui piaceva molto il set e mi ricordo ci litigavamo le scene, quando toccava a me e avevo finito di girare cercavo la sua approvazione e confesso l’ho fatto anche adesso in questo primo film senza di lui». Quel suo ultimo film lo ha voluto in bianco e nero, come in un ideale ritorno agli esordi di quel cinema, firmato Paolo & Vittorio Taviani, che fin dagli anni '50 ha tracciato un’ideale linea di confine tra il magistero del Neorealismo e un nuovo cinema realista, volutamente ideologico e poetico insieme. Nati a San Miniato, vicino a Pisa, da una famiglia borghese, con padre avvocato e antifascista, i Fratelli Taviani arrivano a Roma con un’idea ben chiara nella testa: fare il cinema, suggestionati dalla scoperta di «Paisà» (Rossellini è il maestro dichiarato), emozionati da «Ladri di biciclette». «Quando il film uscì - ha raccontato Paolo - fu un altro innamoramento, e come in ogni innamoramento la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolare in quegli anni. E noi due l’abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L’abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiatura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio». Ma sono modelli che poi si sono trasformati in consapevolezza interiore, tanto che i due fratelli hanno sempre negato di avere un solo riferimento e di amare soprattutto il confronto con la letteratura; anche la collaborazione con Valentino Orsini (al loro fianco all’esordio) e con il produttore più fedele (l'ex partigiano Giuliani De Negri) è sempre stato più un confronto ideologico che una guida estetica. Dal sodalizio sono nati film che hanno segnato la storia del cinema come il profetico «Sovversivi» sulla fine della fiducia cieca nel comunismo reale e il visionario «Sotto il segno dello scorpione» a cavallo con la repressione in Cecoslovacchia; hanno anticipato il fallimento dell’utopia rivoluzionaria attingendo alla storia del Risorgimento con «San Michele aveva un gallo» e "Allosanfan». Nel 1977 hanno vinto la Palma d’oro con «Padre padrone» e otto anni dopo trionfano ancora a Cannes con il loro più grande successo, «La notte di San Lorenzo» (Premio speciale della giuria). È dell’84 il loro incontro con Pirandello e le novelle di «Kaos» seguito nel '98 da «Tu ridi"; nel 2012 dopo una lunga parentesi che li ha visti confrontarsi con il racconto televisivo, hanno vinto il Festival di Berlino con «Cesare deve morire». L’ultima collaborazione è del 2017 con «Una questione privata» che Paolo dirige da solo, mentre il fratello Vittorio è costretto a rimanere a casa per la malattia che lo avrebbe portato via pochi mesi dopo. Da allora Paolo Taviani si è definito «un mezzo regista" perché metà di lui non c'era più sul set, si sentiva «un impiegato del cinema perché in fondo - spiegava - Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall’età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova». Con oltre venti film alle spalle (senza contare documentari, pubblicità e qualche corto disperso come l’ultimo episodio di "Tu ridi") altrettanti premi maggiori e un Leone d’oro alla carriera (nel 1986), i due fratelli hanno dimostrato che passione, costanza, rigore e fedeltà al reale possono essere premiati.

leggi l'articolo completo