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Richard Gere incontra la sua “voce italiana”: iI divo con il doppiatore catanese Mario Cordova

Un evento storico alla Mostra del Cinema di Venezia, quando, al Lido, uno degli attori più amati di Hollywood, Richard Gere, ha incontrato il suo alter ego italiano, il doppiatore catanese Mario Cordova, con lui protagonista di un’interessante masterclass nella nuova Match Point Arena del Tennis Club Venezia. Tanta ironia e buon umore tra i due, impegnati da subito in un botta e risposta esilarante - moderato da Stéphan Lerouge, curatore della raccolta “Ecoutez le cinéma!” - che non ha scalfito la serietà e la professionalità con cui Cordova, voce di Gere dal film “Affari sporchi” (1990), ha parlato di doppiaggio.
Disinvolto ed elegante nel suo completo blu navy e camicia azzurro pallido, Gere dice a Cordova «Hai una voce migliore della mia!», e il doppiatore ne trae spunto per far riferimento al rapporto speciale che si stabilisce col personaggio: un contatto profondo, anche emotivo. «Conosco ogni centimetro della sua pelle» afferma simpaticamente, ma subito dopo precisa: «Non tutto ovviamente… Diciamo tutto del viso che è espressione dell’anima: conosco il suo modo di guardare, girarsi, certe chiusure degli occhi che lui fa e sono straordinarie. È come entrare nel suo corpo, nei suoi occhi, nella sua voce. Questo è quello che fa il doppiatore: prendere la faccia dell’attore per mettersela addosso. Se sapessi disegnare lo disegnerei tranquillamente». Un apprezzamento, quello di Gere, ribadito dopo una clip con due scene di “Sommersby” (1993), una originale e l’altra doppiata: «Ok, sei più bravo tu».
Si entra poi nel vivo della masterclass con Cordova, che svela alcuni trucchi del mestiere. «Tutti noi abbiamo più voci – spiega - ne abbiamo tante, tantissime, che cambiano se si usa il naso o la gola, andando verso il basso o l’alto . Ma perché la magia del doppiaggio avvenga è necessario che si predisponga il giusto contesto: la sala doppiaggio. Luogo cult, quasi sacro, isolato acusticamente, in cui il doppiatore è solo con il suo artista, senza interferenze che possano disturbare il contatto e la quasi fusione con la sua persona. Si dice il miglior doppiaggio è quello che scompare nello schermo – aggiunge Cordova - perché è talmente nella faccia e nel corpo di chi dice la battuta che ti scordi che c’è un’altra voce». Una magia che riguarda anche lo spettatore: «C’è come un patto implicito: vai a vedere un film di un attore americano e quando apre bocca parla in italiano e sembra la cosa più naturale del mondo. Se ci pensiamo è invece assurdo: la battuta è stata detta da un’altra parte del mondo, e magari dopo due mesi quella stessa battuta viene recitata in italiano. Viene fatto tutto dopo; ed è una cosa stranissima che alcuni non amano, perché è una sopraffazione, nel senso di “fare sopra”. In questo senso si può arrivare a dire che il doppiaggio è un male, che però ha diffuso il cinema americano in Italia».
Chiusura in bellezza col focus su “Gli invisibili” (2014), film di finzione girato con uno stile documentaristico, in cui Gere interpreta un clochard. Cordova gli chiede se sia vero che una donna, scambiandolo per un senzatetto, gli abbia donato dieci dollari. Gere precisa che la donna gli ha regalato del cibo e questa notizia ha fatto il giro del mondo. «Dietro a questo film c’è anche l’uomo – ha sottolineato il doppiatore – Una persona davvero profonda, capace di passata dall’immagine di sex symbol ad un ruolo così toccante».

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