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Nel colosseo mediatico dove si urla a casaccio

Nel colosseo mediatico dove si urla a casaccio

Ogni volta che penso al piccolo Charlie mi appare mia madre, quell’ultima notte: già dentro la morte, tutta intera, eppure ancora così lei, con gli occhi aperti e quei frammenti di parole che noi prendevamo per discorso e convocazione e invece erano già un dialogo con mio padre, o suo padre, o solo la notte nera dove loro erano già spariti, per sempre. E penso che ci sono tragedie dentro cui nessun bisturi e nessun codice possono mettere ordine o chiarezza, ma proprio per questo non c'è da perdere la fiducia nella scienza o nel diritto. Specie nel nostro mondo di colossei mediatici dove tutti possiamo dire, o urlare, la nostra, accodarci a un dire – più spesso a un urlare – più sonoro del nostro, esprimerci a casaccio senza che nessuno ci chieda quantomeno lo sforzo di documentarci prima.
Ma se sconcerto, empatia e dolore (quello di ogni genitore, di ogni persona davanti alle immagini, replicate ovunque, di Charlie) possono motivare reazioni non meditate, o francamente irrazionali, che vanno dall’invettiva contro «i giudici disumani» all’esecrazione dell’ «omicidio di cui è complice l’Ue» o «l’Europa senz’anima», chi nel dibattito pubblico si muove da professionista – giuristi, politici, scienziati, commentatori – ha il dovere di tenere a freno retorica, enfasi e soprattutto cattiva informazione.
Si usano dappertutto a sproposito, confondendoli tra loro e aizzando le peggiori reazioni, termini come «eutanasia» (che non ha a che fare col caso di Charlie), «sospensione di trattamenti», «accanimento terapeutico». Si usa a sproposito il termine «Ue» (e questo è grave, in bocca a politici e commentatori): la Corte di Strasburgo non c’entra nulla con l’Ue. Si sorvola sul punto più importante della vicenda, senza fermarsi a sentire cosa dicono gli esperti (ma ormai nel nostro mondo le competenze e gli “esperti” son guardati con sospetto: basti pensare a quel che accade coi vaccini): la scienza, quella stessa scienza in cui i genitori confidano, dà speranze a Charlie? Sembra di no, purtroppo.
Penso con disgusto a chi cerca di cavalcare politicamente questa tragedia; penso con dolore a chi deve occuparsene, coi bisturi spuntati e i codici insufficienti, e pure con la riprovazione collettiva aizzata ad arte da agitatori e maleinformati. E penso con solidale partecipazione a chi è sconvolto e non sa cosa dire, perché quel bambino è lì, con gli occhi aperti, e sembra vivo e presente come era mia madre, e ogni cosa era ferma sul suo letto, ogni scelta sospesa, ogni decisione sbagliata, perché sembrava contraddire la vita stessa e non la sua parvenza. E invece non era così.
Charlie ci rammenta tutto quello che non siamo e non possiamo; ci mette di fronte a tutta l’enormità che crediamo di disciplinare coi nostri fragili strumenti umani; ci rende insicuri, e siamo tentati di strepitare, e inveire contro toghe, e camici, e questa, questa sì, è la cosa più sbagliata che possiamo fare.

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