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'Ndrangheta "Aemilia", condannato si barrica nell'ufficio postale: 4 ostaggi. Chiede di parlare con Salvini

Francesco Amato, un imputato condannato pochi giorni fa nel maxi-processo di 'Ndrangheta 'Aemilia', da allora irreperibile, si è asserragliato dentro l'ufficio postale di Pieve Modolena, frazione di Reggio Emilia, con un coltello.

Dai primi accertamenti avrebbe fatto uscire tutti i clienti, tenendo in ostaggio cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. Sul posto le forze dell'ordine che hanno chiuso le strade e hanno avviato trattative. Poi una donna tra i cinque ostaggi è stata fatta uscire: adesso con l'uomo ci sono 4 persone.

Amato è stato condannato a 19 anni e nei suoi confronti pendeva un ordine di carcerazione a cui si era sottratto. La parte della via Emilia dove si trova la filiale delle Poste è stata evacuata, e sono stati creati due punti di sbarramento ai lati.

«Vi ammazzo tutti». E’ la minaccia con cui Amato, è entrato nell’ufficio e ha preso in ostaggio cinque donne, quattro impiegate e la direttrice, nella filiale delle Poste di Pieve Modolena (Reggio Emilia). Una di loro ad un certo punto si è sentita male e Amato l’ha fatta uscire perché fosse soccorsa. I contatti sarebbero tenuti con l’uomo dai carabinieri, in particolare da un militare, sulla soglia dell’edificio, che fa da tramite.

L'uomo ha chiesto, tra le altre cose, di poter parlare con il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Prosegue intanto la trattativa con le forze dell'ordine, all'esterno dell'ufficio postale dentro cui Amato si è asserragliato intorno alle 9 del mattino, facendo uscire tutti i clienti e prendendo in ostaggio i dipendenti.

Amato, è originario di Rosarno. Fu arrestato, nell’ambito dell’operazione «Aemilia», il 28 gennaio del 2015 e rinviato a giudizio il 21 dicembre dello stesso anno. Alla fine del processo, il 31 ottobre scorso, è arrivata per lui la condanna a 19 anni ed un mese di reclusione con l’accusa di essere stato uno degli organizzatori dell’attività delle cosche di 'ndrangheta in Emilia-Romagna.

Un’azione dimostrativa contro una condanna ingiusta. Sarebbe questo il motivo che ha spinto Amato a entrare armato di coltello nell'ufficio postale. Lo ha spiegato un fratello di Amato, giunto sul posto, durante le trattative con le forze dell’ordine. Si tratta di un familiare che non è stato imputato nel processo Aemilia. Amato era cliente dell’ufficio postale, andava a pagare le bollette, lo conoscevano anche a causa di una menomazione fisica che ha a una mano.

«Mio zio non è una persona cattiva. Mi dispiace per le povere persone lì dentro. Lo sta facendo perché pensa di aver avuto una condanna ingiusta. Non è colpevole, lo ha fatto perché è innocente». Così la nipote di Francesco Amato, ha parlato, fuori dall’ufficio postale di Pieve Modolena del gesto del parente. «Lui non fa male a nessuno, vuole solo giustizia. Lui è invalido dalla mano destra: 19 anni di galera è chiaro che il sangue bolle. Non sapevamo nulla di quello che avrebbe fatto, ma non è cattivo», ha detto invece il cognato dell’imputato condannato per Aemilia.

«Siamo chiusi dentro. Il signor Amato vuole parlare con Salvini. Lo vedo. Sono all’interno, il signor Amato sta parlando: vuole Salvini. Parla con i Carabinieri, con noi. Ha un coltello in mano. Io lavoro qui; siamo in quattro. Il signore è qui da parecchie ore. Ha detto che se apriamo la porta qualcuno fa una brutta fine e quindi siamo trincerati dentro». Così uno degli ostaggi, un’impiegata, intervistata da Marco Sabene del Giornale Radio Rai.

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