L’allora ministro Kyenge non aveva sporto denuncia, ma in procura a Bergamo era partito d’ufficio il procedimento sostenuto dai pm Maria Cristina Rota e Gianluigi Dettori: nel 2015 un primo stop, con la difesa che aveva sostenuto la scriminante dell’articolo 68 della Costituzione, secondo il quale i membri del Parlamento, nell’esercizio delle loro funzioni, non possono essere chiamati a rispondere delle loro affermazioni. La Consulta aveva però dato ragione al tribunale e il processo era ripreso. I pm avevano chiesto 2 anni, la difesa l’assoluzione. «Non ricordo parola per parola quanto ho detto, ma il mio intento - aveva dichiarato Calderoli lo scorso luglio in udienza - era la critica politica al governo Letta, anche per un certo divertimento delle persone presenti, con toni leggeri. Dalle trascrizioni vedo che non ho mai usato la parola "orango", bensì "oranghi", riferendomi a tutto il governo. Intendevo dire che si muovevano come elefanti in una cristalleria: se avessi usato quest’altro paragone, oggi non saremmo in quest’aula». L’accusa non si era però detta d’accordo. Oggi la condanna a 18 mesi per diffamazione aggravata dall’odio razziale.