Domani si chiude il settennato di Giuseppe Pignatone a capo della Procura di Roma. Oggi il magistrato compie 70 anni e da domani sarà ufficialmente in pensione. Una lunghissima carriera, iniziata nel 1974, sempre in prima linea contro le grandi organizzazioni criminali, come Cosa nostra e 'Ndrangheta, e trent'anni trascorsi in Sicilia.
A Roma chiude un mandato che ha profondamente inciso l’attività giudiziaria dell’ufficio con una serie di indagini che hanno colpito i gruppi criminali attivi nella Capitale ma anche smascherato quel «mondo di mezzo», quel settore grigio in cui il malaffare si intreccia con la pubblica amministrazione e i palazzi della politica. E proprio su questo tema, in una rara intervista, ha parlato del contrasto tra magistratura e politca.
"Se dura da decenni, seppure in forme diverse, si deve ritenere che ci siano ragioni strutturali, al di là delle scelte o delle colpe di alcuni protagonisti che pure esistono» ha detto Pignatone, aggiungendo che «c'è la tendenza, diffusa in tutto l'Occidente, ad ampliare il ruolo dei giudici, affidando loro la soluzione di problemi di natura istituzionale, economica o addirittura etica che la politica non sa o non vuole risolvere».
Pignatone è arrivato a Roma il 19 marzo del 2012 proveniente dalla procura di Reggio Calabria. Il 4 dicembre del 2014 gli arresti dell’indagine «simbolo» della sua era a piazzale Clodio: "Mafia Capitale", una organizzazione mafiosa fatta di amministratori locali, imprenditori e vecchie conoscenze degli anni di piombo che puntava a gestire appalti e commesse all’ombra del Campidoglio. L’ex Nar, Massimo Carminati e il capo delle coop romane, Salvatore Buzzi sono individuati come i 'capì del gruppo mafioso. Un vero e proprio terremoto giudiziario che ha coinvolto anche l’ex sindaco Gianni Alemanno (condannato in primo grado a 6 anni per corruzione). Un impianto accusatorio riconosciuto nel processo di Appello e che ora attende l’ultimo step in Cassazione.
Forte l’impegno nella lotta alle organizzazioni criminali presenti nel litorale romano e nell’area est della Capitale. Una vera e propria guerra a colpi di arresti e sequestri che hanno riguardato il clan Spada ad Ostia, i Casamonica e i Fasciani. E durante il settennato di Pignatone sono stati tre i sindaci finiti sotto inchiesta e poi a processo: oltre ad Alemanno, anche il caso scontrini che ha riguardato Ignazio Marino (assolto in primo grado, condannato in appello e poi nuovamente assolto in Cassazione) e la vicenda nomine che ha coinvolto l'attuale sindaca Virginia Raggi, assolta in primo grado il 10 novembre scorso.
Nel filone «politico» da segnalare anche l'indagine legata al progetto del nuovo stadio della Roma con arresti di imprenditori e coinvolgimento di politici. Un filone di questa maxindagine ha portato, nel marzo scorso, all’arresto per corruzione di Marcello De Vito, esponente degli M5S e presidente dell’assemblea capitolina. Nell’ambito delle inchieste di pubblica amministrazione l’ultima in ordine di tempo è quella arrivata da Palermo per competenza e che vede indagato per corruzione, il sottosegretario Armando Siri.
Un capitolo a parte spetta la vicenda legata alla morte di Stefano Cucchi. Al nome di Pignatone sono legati i procedimenti che, coraggiosamente, sono stati portato avanti in questi anni. Il lavoro del sostituto Giovanni Musarò è riuscito a fare emergere una serie di presunti depistaggi da parte di uomini dell’Arma messi in atto per ostacolare l’accertamento della verità su decesso del giovane geometra romano avvenuto nell’ottobre del 2009. Questo indagine è ora al vaglio del gip.
Infine il caso di Giulio Regeni, il ricercatore universitario rapito, torturato ed ucciso in egitto nel febbraio del 2016. Anche per questa vicenda Pignatone ha messo in campo tutti gli strumenti investigativi possibili per cercare di arrivare ad una verità. Una attività istruttoria complessa che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati cinque agenti dell’intelligence egiziana per l’accusa di sequestro di persona.
Una indagine lastricata di difficoltà che proprio negli ultimi giorni ha fornito una svolta con l’invio di una nuova rogatoria legata anche alla «confessione» da parte di uno degli indagati e che sarebbe stata carpita da un supertestimone. L’ultimo atto firmato dal magistrato palermitano prima di lasciare gli uffici di piazzale Clodio.
«Non so cosa farò adesso - ha detto il procuratore ai cronisti che ha incontrato per un saluto informale -. Di sicuro avrò tanto tempo a disposizione per leggere ma non si escludono sorprese».
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