Che ci sia la mano di cosa nostra per gli inquirenti è più che probabile. Lo dicono le modalità dell’omicidio e la «professionalità» del killer. E infatti l'inchiesta sulla morte di Antonio Diliberto, commercialista di 49 anni, di Belmonte Mezzagno, assassinato questa mattina, è stata assegnata alla direzione distrettuale antimafia: segno del sospetto che ad armare la mano dell’assassinio siano stati i clan. Fratello dell’ex sindaco del paese, Pietro, era sposato e aveva tre figli.
Uno o più sicari hanno aspettato che uscisse di casa sulla sua auto, una Bmw blu. Mentre percorreva la stradina sterrata che porta alla provinciale è stato affiancato dal killer che ha sparato quattro colpi di arma da fuoco. I proiettili hanno rotto il parabrezza e il finestrino del lato della vittima. Diliberto, probabilmente, è morto sul colpo raggiunto al capo e al busto da una distanza di pochi metri. A dare l’allarme è stato un passante che l’ha visto riverso sul volante e ha chiamato i carabinieri.
I militari dell’Arma al loro arrivo hanno trovato il motore dell’auto ancora acceso. Diliberto è incensurato e dalle inchieste non sono mai risultati suoi legami con le cosche. Ha una parentela col pentito Filippo Bisconti, ex capomafia di Belmonte Mezzagno, figlio del fratello della nonna della vittima, arrestato nei mesi scorsi nell’ambito dell’inchiesta che ha svelato il piano di ricostituzione della cupola di cosa nostra. Dopo qualche mese dall’arresto Bisconti ha iniziato a collaborare con la giustizia.
Secondo i pm l’omicidio di Diliberto non sarebbe, però, una vendetta trasversale verso il pentito. A gennaio a Belmonte c'era stato un altro omicidio: in quel caso lo scenario sarebbe stato uno scontro tra clan di trafficanti di droga. I due episodi, in un territorio in cui da anni non si verificavano fatti di sangue, fanno ipotizzare che l'uscita di scena del boss Bisconti abbia creato un vuoto di potere che ha allentato il controllo sulla criminalità.
Sulla morte di Diliberto, che aveva due studi commerciali, uno in paese, uno a Misilmeri, indagano il procuratore aggiunto De Luca e i pm Brucoli e Spedale. La parentela col capomafia nel 2014 costò all’azienda in cui lavorava il fratello della vittima la revoca di alcuni lavori: la prefettura ritenne che ci fosse il rischio di infiltrazioni mafiose.
Salvatore Pizzo, sindaco di Belmonte Mezzagno, dice: «Tutta la comunità è profondamente scossa da come uno stimato professionista, virtuoso padre e marito è stato strappato alla vita in modo così vile e barbaro. Ci stringiamo con dolore al cordoglio della famiglia e delle persone a lui vicine. Oggi più che mai la nostra comunità ha bisogno di ritrovare unità, abbiamo sete di giustizia, di conforto».
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