«Cercate dove indica l'angelo» nel Campo santo del Collegio teutonico vaticano diceva la segnalazione alla famiglia da cui è nata la nuova ricerca del corpo di Emanuela Orlandi che ha portato sin dentro le mura leonine a rinvenire due ossari colmi di migliaia di frammenti e scheletri.
Oggi, a distanza di quasi cinque mesi dalla pubblicazione di quella lettera-giallo e a soli diciotto giorni dalla decisione della magistratura vaticana di aprire le tombe oggetto della missiva, che non sarebbe anonima, arriva la prima risposta sui reperti ossei, quella del perito nominato dal Vaticano. Quelle ossa risalgono ad un’epoca non successiva al 1800. Non possono essere, quindi, della quindicenne romana scomparsa il 22 giugno 1983.
Ieri e oggi si sono svolte le analisi morfologiche sulle ossa rinvenute, anche su frammenti e ossa di piccole dimensioni. Una analisi, ha assicurato il Vaticano, condotta secondo protocolli riconosciuti a livello internazionale e che si è conclusa questa mattina alle 12.30. «Nel corso degli accertamenti di antropologia forense - ha quindi informato una nota vaticana - il professor Giovanni Arcudi non ha riscontrato alcuna struttura ossea che risalga ad epoca successiva alla fine del 1800».
Arcudi ha svolto le sue operazioni peritali assistito da uno staff di cui fanno parte anche tre medici legali. Il tutto è stato eseguito alla presenza non solo del legale degli Orlandi, ma anche, soprattutto, del perito nominato dai familiari di Emanuela, il genetista Giorgio Portera. E, piuttosto inusitatamente, è stato sempre il Vaticano a riferire anche le richieste di Portera. «Il consulente di parte della famiglia Orlandi - afferma sempre la nota - ha chiesto accertamenti di laboratorio su circa 70 reperti ossei; il professor Arcudi e la sua equipe non hanno avallato la richiesta perché le medesime strutture ossee hanno caratteri di datazione molto antichi».
Adesso il materiale ritrovato sotto le tombe delle due principesse divenute loro malgrado famose, Sophie di von Hohenlohe e Carlotta Federica di Meclemburgo, dopo essere stato repertato, è stato messo a disposizione dell’autorità giudiziaria vaticana. A quanto si apprende, sarà adesso la famiglia Orlandi, tramite il suo legale, a doversi muovere con una richiesta formale che produca una motivazione per ottenere dal magistrato vaticano l’autorizzazione all’ulteriore indagine sui 77 reperti.
A conclusione delle operazioni di oggi, che per il Vaticano segnano la fine di questa vicenda anche se non è escluso che ci sia una prosecuzione, l’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, non ha voluto rilasciare dichiarazioni, ricordando che «c'è il segreto istruttorio» mentre lo stesso Pietro, il fratello di Emanuela che da anni conduce in prima persona una battaglia per arrivare alla verità sulla sorella, non ha fatto commenti lasciando intendere che verrà un momento successivo in cui la famiglia si farà sentire. E dirà la sua.
«Nel dare comunicazione di queste operazioni - conclude invece la nota vaticana -, la Santa Sede conferma la propria volontà di ricerca della verità sulla vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi e smentisce categoricamente che questo atteggiamento di piena collaborazione e trasparenza possa in alcun modo significare, come da alcuni talvolta affermato, una ammissione implicita di responsabilità».
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