Due vite in una. La prima finita a 23 anni ancora da compiere lungo l’autostrada del Brennero e la seconda a 54 anni immobilizzato in un letto. In mezzo 31 anni di coma, sempre assistito dai genitori. È la storia di Ignazio Okamoto, soprannominato Cito, madre bresciana e padre messicano ma di origini giapponesi, morto pochi giorni fa nella casa di famiglia a Collebeato, in provincia di Brescia, dove dalla primavera del 1988 ha vissuto in stato vegetativo. Dalle notte tra il 19 e il 20 marzo di 31 anni fa. «Era la notte della festa del papà», ricorda il padre Hector che, dopo aver tramandato al figlio la passione per lo sport, facendo nascere a Brescia anche la prima squadra di baseball, si è poi completamente dedicato al suo secondogenito che ha visto crescere, diventare adulto e invecchiare senza che lui se ne accorgesse. «Ogni tanto scendevano delle lacrime dai suoi occhi, ma non sapremo mai se davvero si rendeva conto di quello che c'era attorno al suo letto», raccontano gli amici che non lo hanno mai dimenticato. Come Alessandro, anche lui aveva 22 anni nell’'88 ed era al volante dell’auto uscita di strada sulla A22. Si salvò come altri due amici che viaggiavano sulla vettura, un altro, invece, morì sul colpo e Ignazio Okamoto finì in ospedale in condizioni disperate. In questi 31 anni è sempre stato in contatto con la famiglia dell’amico, «portando un peso enorme sulle spalle», dicono gli altri amici. Alla camera ardente era seduto a fianco alla bara, dopo aver sempre sperato in un miracolo. «Fin da subito ci dissero che non si sarebbe più svegliato dal coma», spiega la madre Marina. «Non ho mai pensato - prosegue - ad interrompere le terapie, mai pensato una sola volta al fine vita in questi 31 anni in cui io e mio marito ci siamo isolati dal mondo». La donna ammette, però, di avere avuto ultimamente un pensiero fisso: «Dove lasciare Ignazio quando noi genitori non ci saremmo più stati, visto che stiamo invecchiando. E, invece, venerdì improvvisamente il suo cuore ha smesso di sbattere. Può sembrare strano data la sua condizione, ma proprio non ce lo aspettavamo». Tutti a Collebeato, ricco paese ai piedi delle colline bresciane, sapevano del dramma della famiglia Okamoto. «Mio marito - racconta la donna - dopo l’incidente si è licenziato per assistere Ignazio. A parte i primi due anni in un centro, il resto della vita l’ha trascorsa in casa e mio marito è sempre stato al suo fianco». Nel 2003 il Comune di Brescia ha riconosciuto a Hector Okamoto il Premio Bulloni, assegnato a chi si è distinto per aver fatto del bene. Lui è sempre stato a fianco di quel ragazzo, suo figlio, diventato adulto in stato di coma. «E ne avrebbe trascorsi altrettanti se solo avesse potuto. Ha avuto una pazienza giapponese. Mai si è lamentato, mai ha fatto pesare la situazione drammatica», raccontano coloro che conoscono la famiglia. Sulla tomba metteranno una fotografia di Ignazio da giovanissimo. «Aveva 17 anni nell’immagine che abbiamo scelto - spiegano i genitori -. Cinque anni prima dell’incidente. Per tutti Cito è rimasto quel ragazzino».