L’Italia deve riformare la legge sull'ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo, rifiutando la richiesta di un nuovo giudizio avanzata dal Governo italiano dopo la condanna - che adesso diventa definitiva - emessa il 13 giugno scorso.
Nella sentenza emessa lo scorso 13 giugno, e ora definitiva, la Corte di Strasburgo ha stabilito che la legge sull'ergastolo ostativo viola il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Il caso su cui la Corte si è pronunciata è quello di Marcello Viola, in carcere dall’inizio degli anni '90 anni per
associazione mafiosa, omicidio, rapimento e detenzione d’armi. L'uomo si è finora rifiutato di collaborare con la giustizia e gli sono stati quindi rifiutati due permessi premio e la libertà condizionale.
Nella sentenza la Corte spiega che lo Stato non può imporre il carcere a vita ai condannati solo sulla base della loro decisione di non collaborare con la giustizia. I giudici di Strasburgo ritengono che «la non collaborazione» non implica necessariamente che il condannato non si sia pentito dei suoi atti, che sia ancora in contatto con le organizzazioni criminali, e che costituisca quindi un pericolo per la società.
La Corte afferma che la non collaborazione con la giustizia può dipendere da altri fattori, come per esempio la paura di mettere in pericolo la propria vita o quella dei propri cari. Quindi, al contrario di quanto affermato dal governo, la decisione se collaborare o meno, non è totalmente libera.
Allo stesso tempo a Strasburgo ritengono che la collaborazione con la giustizia non comporti sempre un pentimento e l’aver messo fine ai contatti con le organizzazioni criminali.
Nella sentenza la Corte non dice che Viola deve essere liberato, ma che l’Italia deve cambiare la legge sull'ergastolo ostativo in modo che la collaborazione con la giustizia del condonato non sia l’unico elemento che gli impedisce di non avere sconti di pena.
L’ergastolo ostativo, bocciato oggi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, è regolato dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, modificato dalla legge 356 del '92. Prevede che le persone condannate per alcuni reati di particolare gravità e allarme sociale come mafia o terrorismo non possano accedere ai cosiddetti «benefici penitenziari» nè alle misure alternative alla detenzione: niente liberazione condizionale, niente lavoro all’esterno, niente permessi-premio e semilibertà.
Nei fatti, la pena massima che può essere erogata nel nostro Paese, il carcere per sempre, con una unica eccezione, regolata anch’essa dall’ordinamento penitenziario (articolo 58 ter): la collaborazione con la giustizia da parte di chi, «anche dopo la condanna», si adopera «per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori» ovvero aiuta «concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati».
L’ergastolo ostativo, introdotto dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio e in un momento storico nel quale si ritenne necessario rafforzare ulteriormente la lotta alla criminalità organizzata, lo scorso 13 giugno era stato censurato per la prima volta - a maggioranza - dalla Corte europea di Strasburgo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta «trattamenti inumani e degradanti": il caso in esame riguardava Marcello Viola, condannato all’ergastolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, sequestro di persona, omicidio e possesso illegale di armi. Uscito dal 41-bis, Viola aveva chiesto un permesso premio e la possibilità di accedere alla liberazione condizionale ma le sue domande erano sempre state rifiutate, proprio sulla base dell’articolo 4-bis non avendo mai collaborato.
Contro la sentenza della Corte europea, il governo italiano ha presentato ricorso alla Grande Chambre, sottolineando come la mafia rappresenti la principale minaccia alla sicurezza italiana, europea e internazionale e ricordando che l’ergastolo ostativo è stato più volte dichiarato conforme ai principi costituzionali dalla nostra Consulta. Per quest’ultima, infatti, «subordinando l’ammissione alla liberazione condizionale alla collaborazione con la giustizia, che è rimessa alla scelta del condannato, (la disciplina) non preclude in modo assoluto e definitivo l’accesso al beneficio, e non si pone, quindi, in contrasto con il principio rieducativo enunciato dall’articolo 27, terzo comma, della Costituzione».
Caricamento commenti
Commenta la notizia