Anche i mafiosi all’ergastolo potranno accedere ai permessi premio, pure se non collaborano con la giustizia, ma a condizione che sia provato che abbiano reciso i loro legami con la criminalità organizzata e purché sia dimostrata la loro partecipazione al percorso rieducativo. La loro pericolosità non sarà più presunta dalla legge, ma andrà verificata, caso per caso, dai magistrati di sorveglianza, come avviene per tutti gli altri detenuti. Dopo la Corte europea dei diritti dell’Uomo anche la Corte costituzionale dà una spallata all’ergastolo «ostativo», quello che impedisce la concessione di benefici a mafiosi - ma anche ai terroristi e ai responsabili di altri gravi reati - se non fanno i nomi dei loro sodali, introdotto all’indomani della strage di Capaci, proprio per indurre boss e gregari a collaborare con lo Stato. Una pronuncia di grande impatto, perché non riguarda solo i 1.250 condannati all’ergastolo ostativo, ma anche chi sta scontando pene minori per mafia, terrorismo, violenza sessuale aggravata, corruzione e in generale i reati contro la pubblica amministrazione. Tutti reati che sino ad oggi impedivano la concessione di qualunque beneficio penitenziario nel presupposto della pericolosità sociale del condannato. A questo meccanismo preclusivo la Corte Costituzionale ha sottratto i soli permessi premio, il primo gradino dei benefici penitenziari. E lo ha fatto stabilendo la incostituzionalità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario "nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata - come spiega il comunicato della Corte -. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo». La sentenza si è limitata ai permessi premio e non agli altri benefici penitenziari, perché era stata investita su questo specifico aspetto dalla Cassazione e dal tribunale di sorveglianza di Perugia, cui si erano rivolti due detenuti , Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone, che si erano visti negare il via libera a incontrare i loro familiari. Ma potrebbe fare "scuola» per la concessione di altri benefici penitenziari. Se lo augurano Antigone, Nessuno Tocchi Caino e l’Unione delle Camere penali. Lo temono invece alcuni magistrati, come Sebastiano Ardita che vede il rischio che venga agevolata la riorganizzazione di Cosa Nostra, e Nino Di Matteo, che teme che per questa via Cosa nostra possa realizzare l’obiettivo principale che si era data con le stragi (ma l’ex procuratore di Torino Armando Spataro parla di una sentenza giusta). Sulle conseguenze della sentenza sono al lavoro gli uffici del ministero della Giustizia. «La questione ha la massima priorità», sottolinea Alfonso Bonafede. «Cercheremo di smontare la sentenza» assicura dall’opposizione Matteo Salvini.