C'è chi posta la sua foto in divisa, con l’arma ben visibile; chi insulta sui forum; e chi, ferito negli scontri con migranti in un Centro per il rimpatrio (è successo a Torino), si sfoga su facebook: «per un pò non voglio sentire parlare di comprensione, integrazione e accoglienza».
Le "esternazioni inappropriate" che si ripetono tra i poliziotti hanno convinto il capo della polizia, Franco Gabrielli, a imporre una stretta sull'utilizzo dei social da parte del personale in divisa con una circolare che ricorda «l'obbligo di mantenere in servizio e fuori dal servizio un comportamento idoneo a non creare disdoro o imbarazzo nell’associazione».
La libertà di espressione e il principio di uguaglianza possono subire limitazioni in casi particolari, ricorda Gabrielli. In sostanza, un poliziotto non è un cittadino come gli altri e dunque è tenuto ad «un maggiore riserbo e una particolare cautela nell’esprimere, anche via web, opinioni, valutazioni anche di taglio critico, specie in ordine ai fatti che interessano l’opinione pubblica».
Il suo status giuridico richiede «un comportamento ineccepibile ed esemplare anche nella partecipazione a discussioni sui social forum on line, ispirato all’equilibrio, alla ponderatezza, al rispetto delle altrui opinioni e ai doveri inerenti alla funzione svolta».
E non è solo un problema di opinioni più o meno opportune. Infatti, si legge nella circolare, la pubblicazione di testi o immagini relativi all’attività di servizio espone a «seri rischi, tra cui quello di compromissione dell’efficacia e della sicurezza dei servizi» e degli obblighi di mantenimento del segreto d’ufficio. Dunque, ogni appartenente alla polizia può "ben esprimere opinioni, ma sempre ponderando oculatamente tempi, modi e caratteri delle proprie esternazioni in modo da tenere un comportamento improntato a correttezza, imparzialità e cortesia».
E attenzione anche ai semplici like espressi a commenti su fatti di cronaca. Potrebbero essere travisati ed
offrire una «percezione dissonante o addirittura contraria ai valori rappresentati dalla divisa». «Quanto mai inopportuna», inoltre, è la pubblicazione di «proprie foto in divisa o di altri elementi chiaramente distintivi (ad esempio l’arma di servizio), con l’indicazione della proprie generalità, del luogo di residenza o di servizio": potrebbero prestarsi «a usi distorti o impropri» con rischi per colleghi e familiari.
Soddisfatti i sindacati di polizia. Daniele Tissone, segretario del Silp Cgil, ironizza: «certamente col precedente ministro dell’Interno sarebbe stato quantomeno curioso invitare i lavoratori in divisa a una maggiore prudenza nell’utilizzo dei social e dei servizi di messaggistica».
Mimmo Lacquaniti, portavoce dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, giudica «necessaria una forte consapevolezza circa i rischi di esternazioni personali che, fatte da rappresentanti dello Stato, rischiano di offrire interpretazioni distorte che coinvolgono l'Istituzione».
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