Il Papa interviene nello scontro tra la Chiesa e il governo e lancia un appello alla «prudenza» e all’"obbedienza». «In questo tempo nel quale si comincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni», ha detto nella messa a Santa Marta. Le messe effettivamente potrebbero riprendere dall’11 maggio ma all’aperto. Anche il presidente della regione più colpita, la Lombardia, Attilio Fontana, aveva scritto una lettera al premier Giuseppe Conte «per chiedere il via libera alle celebrazioni religiose».
La questione 'messe' agita anche la Francia ma alle richieste dei vescovi il premier Edouard Philippe ha risposto che «i luoghi di culto potranno restare aperti, ma credo sia legittimo chiedere di non organizzare funzioni e cerimonie" prima del 2 giugno. E se le parole del Papa risuonano come un richiamo alla dura posizione della Cei, i vescovi invece danno una diversa lettura: "Il richiamo del Santo Padre è un servizio alla Chiesa e al Paese, siamo nel tunnel e la prudenza e l’obbedienza sono la condizione per uscirne. Sarebbe grave se all’interno della Chiesa, pur con sensibilità diverse, fossimo con Papa Francesco su due linee diverse», dice il sottosegretario e portavoce don Ivan Maffeis confermando anche che il dialogo con il governo non si è mai interrotto e va avanti «tutti i giorni». Ma non è la prima volta che il Papa, in questa pandemia, ha richiamato i 'suoì. A metà marzo, quando alcune diocesi, compresa quella di Roma, decisero di chiudere del tutto le chiese, tuonò che «le misure drastiche non sempre sono buone». Sul fatto che il Papa voglia tornare a vedere le messe partecipate dalla gente non c'è dubbio.
Qualche giorno fa, parlando delle liturgie on line, aveva detto che «questa non è la Chiesa». Ma allo stesso tempo richiama alla responsabilità, anche perché in questi giorni ha sentito tanta gente, compresi sacerdoti e vescovi, che hanno duramente sofferto su un letto di ospedale a causa del virus. In queste ore il confronto più stretto, tra governo e Cei, è sul protocollo da adottare per la celebrazione dei funerali che partiranno dal 4 maggio. Ma si lavora anche sulle messe. L'ipotesi più probabile è che all’inizio, forse già da lunedì 11 maggio, si possa celebrare all’aperto. Se per le messe feriali, già frequentate poco, i rischi sono minori, per quelle domenicali si pensa all’aumento delle celebrazioni. Si parla ovviamente anche di mascherine e guanti. In ogni parrocchia ci sarà una sorta di 'responsabile della sicurezzà, sacerdote o laico, che dovrà concretamente occuparsi dell’organizzazione delle celebrazioni, anche se i responsabili ultimi sarebbero comunque i parroci. Per monsignor Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto e teologo ascoltato, «il richiamo alla responsabilità, ribadito dal Santo Padre, indica proprio questo: sono la Chiesa e i suoi pastori a dover agire con responsabilità e prudenza, nel rispetto delle regole. Sono i pastori a dover garantire la sicurezza e la salute che è la priorità. E’ incomprensibile e inaccettabile non consentire la celebrazione liturgica che è parte di un principio costituzionale fondamentale, una libertà che va garantita».
Opposta invece l’interpretazione di un prete di strada, come don Vinicio Albanesi: «Quello di Bergoglio è stato un richiamo a rispettare le regole contro il sollevamento di scudi di ortodossi e conservatori». La Fase 2 agita anche i fedeli di altri religioni. E se i Buddisti italiani affermano che occorre «pazientare ancora, obbedire alle disposizioni e raccogliersi in preghiera dentro di sé», i musulmani chiedono risposte. «Chiediamo fermamente che vengano messe a disposizione il prima possibile delle misure ad hoc che permettano ai fedeli di partecipare alle preghiere in condizioni di sicurezza. Basta con questa vaghezza, senza certezze per i nostri fedeli che stanno vivendo il Ramadan in lutto», afferma il presidente dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche in Italia, Yassine Lafram.
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