Arresti in Veneto al termine di un'indagine della polizia che ha sgominato la locale di 'ndrangheta di Verona, una struttura autonoma ma riconducibile alla cosca degli Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
L'inchiesta coordinata dalla Dda di Venezia, ha portato all'emissione da parte del Gip di 26 misure cautelari nei confronti di altrettanti soggetti accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa, riciclaggio, estorsione, traffico di droga, corruzione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di beni e fatture false.
In carcere sono finite 17 persone mentre nei confronti di altre 6 sono stati disposti gli arresti domiciliari e per 3 è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Le indagini sono state condotte tra il 2017 ed il 2018 da un gruppo di lavoro composto dagli investigatori della prima divisione del Servizio Centrale Operativo (Sco) della polizia e dagli agenti delle squadre mobili di Verona e Venezia, e hanno portato alla luce quelli che vengono ritenuti "gravi indizi" relativi alla presenza della locale di 'ndrangheta a Verona.
Il direttore centrale dell’Anticrimine, Francesco Messina, parlando con i giornalisti in un incontro al Palazzo di Giustizia di Venezia, precisa che le indagini hanno portato oggi alla contestazione del 416 bis a carico di 16 persone emerge che il gruppo 'ndranghetista arrestato oggi nel veronese proveniente da Isola Capo Rizzuto faceva capo a Antonio Giardino, insediatosi nel territorio veronese già alla fine degli anni '80. «L'apparato mafioso non ha alcun interesse a manifestare la sua violenza nel Nord Italia - spiega - ma ha interesse ad avvicinare politici, imprenditori e per circa un ventennio nel veronese è avvenuto. L’apparato militare qui non è così forte. L’agire mafioso in Nord Italia punta a creare un reticolo di rapporti fortissimi anche con la pubblica amministrazione, a partire dalla corruzione ma non solo, e non manifesta se non in specifici settori il suo comportamento militare».
Anche l'ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, è tra gli indagati nell’inchiesta. Nei confronti dell’ex sindaco l’accusa è concorso in peculato. «'Io ho anche il tirapugni...' 'Con ll tirapugni ? lo ammazzi, ...io ho paura che che con il tirapugni lo ammazzi».. 'Pensaci, non è che gli devo dire 'scusa viene un attimo?'. Si gira e «bam»!. Sono stralci di alcune delle conversazioni intercettate tra gli indagati che compaiono nelle carte dell’inchiesta per associazione mafiosa a Verona. Due di loro - uno è Nicola Toffanin, ritenuto il braccio destro del boss Giardino -, parla anche dell’uso del taser: «quello lì per rompere i legamenti è micidiale».
La conversazione intercettata tra i due sull'uso del taser prosegue con altri particolari,:«Tu puoi essere anche a tre metri - prosegue uno dei due - io mi abbasso, mi metto sotto e "bam", e lui va giù, ai legamenti...». Sempre a testimonianza di come l’organizzazione sia abituata ai metodi violenti, c'è anche un altro passaggio dei dialogo tra i due uomini: «'... 'se c'è da rompergli le gambe con due calci, si spaccano le gambe...'.». «'Noo - risponde l'altro - o dio, rompi qualcosa, tu lo sai benissimo che... sono quaranta giorni di ospedale'». (ANSA).
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