Il vaccino Covid-19 a cui lavora l’Università di Oxford è sicuro e induce una reazione immunitaria: è quanto emerge dai risultati delle prime fasi dei 'trial', secondo quanto annunciato dalla stessa università.
«C'è ancora molto lavoro da fare prima di poter confermare se il nostro vaccino aiuterà a gestire la pandemia di Covid-19, ma questi primi risultati sono promettenti», ha fatto sapere in una nota la professoressa Sarah Gilbert, responsabile del team che sta lavorando al vaccino, insieme a un’azienda italiana.
Ma sono necessari ancora altri 'trials' -ha aggiunto- per esseri sicuri che il vaccino sia sufficiente a 'coprirè le persone dal contagio: «Oltre a continuare a testare il nostro vaccino negli studi di fase 3, dobbiamo saperne di più sul virus: ad esempio, non sappiamo ancora quanto sia forte la risposta immunitaria che dobbiamo provocare per proteggere efficacemente dal contagio da Sars-Cov-2. Se il nostro vaccino è efficace, è comunque un’opzione promettente perchè questi tipi di vaccino possano essere prodotti su larga scala».
Il nome, come sempre nelle fasi di sperimentazione, è impronunciabile: ChAdOx1 nCoV-19. Ma il vaccino messo a punto nei laboratori dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group, e con il rilevante contributo tutto italiano della Irbm di Pomezia, è una delle speranze più concrete per debellare il coronavirus. Lo testimoniano gli ingenti fondi stanziati da Gran Bretagna e Usa, senza ancora avere la certezza della reale efficacia, a cui ha replicato il mese scorso l’accordo firmato da Italia, Germania, Francia e Olanda per distribuire in Europa 400 milioni di dosi. Di certo i risultati, ottenuti a tempi di record, sono promettenti: dopo aver dimostrato sicurezza ed efficacia sugli animali, la sperimentazione sull'uomo del candidato vaccino italo-britannico è entrata in una fase cruciale. Già svolti i test sui primi volontari, infatti, è scattata la somministrazione su diecimila persone, per un ampio studio di fase II/III da cui si attende il responso definitivo, previsto prima dell’inverno, ma i cui risultati preliminari, si legge oggi su Lancet, parlano già di «una forte risposta immunitaria».
Il vaccino si basa sulla tecnica del «vettore virale», ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si «incollano» le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo.
Ed è proprio questo che fanno nei laboratori di Pomezia: l’Irbm è uno dei leader globali nella produzione di vettori virali. Questo vaccino in particolare utilizza un vettore virale di scimpanzè con deficit di replicazione basato su una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus), che causa infezioni negli scimpanzè e contiene il materiale genetico della proteina spike SARS-CoV-2. Dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale, la quale attiva il sistema immunitario affinchè attacchi il virus COVID-19 se questo dovesse in seguito infettare l’organismo. Il vettore adenovirus ricombinante (ChAdOx1) è stato scelto per generare una forte risposta immunitaria già da una singola dose e non è replicante, non può quindi causare un’infezione nell’individuo vaccinato. I vaccini prodotti con il virus ChAdOx1 sono stati finora somministrati a oltre 320 persone e si sono dimostrati ben tollerati, sebbene possano causare effetti indesiderati temporanei, come febbre, sintomi simil-influenzali, mal di testa o dolore al braccio. A distribuirlo sarà il colosso farmaceutico AstraZeneca, che come detto ha già concluso accordi multimilionari con il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations e Gavi the Vaccine Alliance per 700 milioni di dosi e ha concordato un accordo di licenza con il Serum Institute of India per la fornitura di un ulteriore miliardo di dosi, principalmente destinate ai paesi a basso e medio reddito. La capacità produttiva totale è attualmente pari a due miliardi di dosi. (AGI)
Pgi
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