Cesare Romiti, ex amministratore delegato e presidente di Fiat, è morto a 97 anni nella sua casa di Milano. Nel gruppo torinese ha passato 25 anni, dal 1974 al 1998, segnandone profondamente la storia al fianco di Gianni Agnelli.
Uomo di rapporti, attentissimo alla politica e ai fatti romani, l’Italia è stata sempre al centro delle sue strategie. Nato a Roma il 24 giugno 1923, il nome di Romiti è indissolubilmente legato a Mediobanca e alla Fiat. Entra in contatto con la banca gestita da Enrico Cuccia negli anni Sessanta, quando da giovane manager gestisce la fusione tra Bombrini Parodi Delfini e la Snia Viscosa.
Passa per altre aziende prima di entrare in Fiat nel 1974 da cui uscirà il 22 giugno 1998. Lui è l’uomo della finanza, si occupa poco del prodotto che delega a manager che sceglie e gestisce personalmente. Pur non lasciando grandi libertà gestionali alle consociate del gruppo, chiedeva sempre a fine anno grandi utili da mettere in bilancio. Sono anni difficili per l’economia italiana, taglieggiata dall’inflazione e da un contesto sociale complesso. L’auto ne risente, dal 1972 gli occupati in Italia iniziano a calare.
Nel frattempo, dal 1978 in Fiat è entrato Vittorio Ghidella, che risolleverà il comparto auto lanciando modelli di grande successo come Panda, Uno, Prisma, Thema ma che dopo dieci anni sarà mandato via. A frustrarne le ambizioni il contrasto con Romiti.
È il picco dell’era del manager romano, Fiat nel 1989 fattura 40.000 miliardi di lire, solo l’Iri è più grande in Italia. Segue un decennio di sofferenze per il gruppo. Romiti però non si ferma, apre e sviluppa stabilimenti del gruppo in tutt'Italia e all’estero senza mai chiuderne, nel 1994 l’ultimo esempio è la Sata di Melfi. Fiat con Romiti è diventata una conglomerata, c'è dentro un po' di tutto. Una visione ampia, che con gli anni però diventa sempre più complesso rendere profittevole. Nel 1998 l'addio, gli subentra Paolo Fresco che arriva dagli Stati Uniti dove in General Electrics ha ottenuto risultati ottimi, che colpiscono anche Gianni Agnelli, che prova a blindare il gruppo alleandosi con GM poco dopo. Tutto naufragherà, e servirà Sergio Marchionne a risollevare il gruppo dal 2004 in poi.
Nel 1976 diventa uno dei tre amministratori delegati del gruppo, insieme a Carlo De Benedetti che segue il prodotto, e Umberto Agnelli che funge da trait d’union. Proprio il fratello dell’Avvocato lascerà qualche mese dopo, eletto in Parlamento, ma con Romiti lo scontro sarà continuo. De Benedetti esce di scena dopo appena cento giorni.
A quel punto comincia il regno di Romiti, che promuove a un ruolo di primo piano un manager arrivato con De Benedetti, ovvero Giorgio Garuzzo, che tiene in Fiat e a cui delegherà la gestione di una galassia di partecipazioni, tra cui Iveco. Per garantire liquidità al gruppo però serve altro, e qui arriva in soccorso di Romiti, su indicazione di Mediobanca, Gheddafi che tramite la Lybian Arab Foreign Bank acquisisce il 10% di Fiat in cambio di 360 miliardi di lire. Non basta, nel 1980 arriva l’annuncio di 14.000 licenziamenti. Mirafiori viene bloccata ed Enrico Berlinguer parlando davanti ai cancelli, arriva a dare la disponibilità del Pci per un’occupazione, che però non ci sarà.
A sbloccare l’impasse i 40 mila colletti bianchi che sfileranno in città nella celebre marcia, chiedono di poter tornare a lavorare, e decretano la sconfitta del sindacato e la fine di un’era.
Romiti negli ultimi anni di Fiat è passato anche per un condanna definitiva a 11 mesi e 10 giorni per falso in bilancio, finanziamento illecito ai partiti e frode fiscale. Condanna nata dall’indagini di Tangentopoli, e poi cancellata nel 2003, quando questi reati saranno depenalizzati. Con i figli Maurizio e Piergiorgio entra in Gemina e Impregilo per poi uscirne dopo anni di gestione controversa.
Nel 2003 fonda e dirige fino al 2018 la Fondazione Italia Cina, sua ultima grande passione. È stato anche presidente di Rcs, di cui aveva guidato il salvataggio nel 1984 tramite Gemina. "Io sono ambizioso. Vedo molta gente che vuole essere assunta, e cerco di capire proprio se sono ambiziosi, perché senza ambizione non si costruisce nulla. Ma devo anche verificare che non siano troppo ambiziosi, perché così si rovina tutto", confessò a Mixer in storica intervista di Gianni Minoli nel 1983, tratteggiando la complessità del suo agire, e la solidità delle sue idee.
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