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Dpcm, dai grandi chef ai bar un unico urlo di dolore: "Così chiudiamo del tutto"

È un coro praticamente unanime quello dei ristoratori di tutta Italia dopo il Dpcm che impone la chiusura dei locali alle 18: lasciateci lavorare o chiuderemo del tutto. Un coro doloroso che unisce i proprietari di bar di periferia e grandi chef, tutti già stremati dal primo lockdown.

La Fipe, la federazione dei pubblici esercizi, ha stimato che ai locali la serrata serale costerà 2,7 miliardi e chiede misure di ristoro. «Se non saranno mantenute le promesse - ha spiegato il presidente Lino Stoppani che ieri ha incontrato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello dello Sviluppo economico Stefano Patualenni - sarà confermata la manifestazione di mercoledì in 17 piazze italiane» simboliche, da San Marco a Venezia, a piazza Duomo a Milano.

Oggi il premier Giuseppe Conte ha ricevuto una delegazione degli esercenti del Movimento Imprese e Ospitalità che era in presidio davanti a Montecitorio. Ma di manifestazioni se ne annunciano anche altre perché «è il momento di alzare la voce» come ha spiegato Max Mascia del ristorante San Domenico di Imola che vanta due stelle Michelin dal 1977.

Lunedì movimenti nati dal basso di titolari di bar, ristoranti e locali si ritroveranno davanti alla prefettura di Milano «sperando di essere ascoltati dal prefetto» ha spiegato Alfredo Zini del ristorante Al Torchio. Proteste pacifiche (anche se oggi in città sono apparse scritte sui muri che invitavano a fare come a Napoli e a sfondare 'la città vetrinà), ma la preoccupazione è altissima.

«Da dicembre non ce la farà più nessuno, la città sarà morta» ha previsto Paolo Peroli, socio di uno degli storici locali notturni di Milano e esponente del comitato territoriale esercenti che lo scorso 22 ottobre ha protestato sotto Regione Lombardia. «Le persone - ha proseguito - iniziano ad agitarsi a parlare di scendere in piazza e fare come a Roma e Napoli. Noi cerchiamo di mediare, di gestirli ma la temperatura si sta alzando».

E cresce il pericolo di infiltrazioni: quelle - raccontano gli esercenti - di violenti «che non sono imprenditori» nelle chat e nelle manifestazioni, e quelle della malavita organizzata che sta approfittando delle difficoltà per appropriarsi dei locali 'a prezzo di saldo'. Le richieste per restare a galla vanno dalla riduzione del contributi assicurativo per i dipendenti, indennizzi a fondo perduto (almeno il 3% del fatturato «per pagare tre mesi di affitto») ai crediti d’imposta.

Da Norcia a Palermo, dal litorale Romano a chef stellati come Chicco Cerea tre stelle Michelin con Da Vittorio a Brusaporto, in provincia di Bergamo, spiegano di rispettare le regole, garantire il distanziamento a differenza di quanto avviene sui bus o sulle piste da sci.

«I ristoranti - è sbottato Alfonso Iacarino, del Don Alfonso 1890, altro storico tre stelle della Costiera Amalfitana - sono luoghi tra i più sicuri che esistano, con personale sistematicamente sottoposto ai test, norme di igiene e sicurezza e tutto quanto è necessario a impedire il contagio. È incomprensibile che mentre altri luoghi possano restare aperti, noi dobbiamo chiudere».

«Lavoro in Italia, il governo si pone queste regole e io le rispetto. Certo la situazione è pesante - è l’invito di Davide Oldani - ma bisogna smettere di guardare a ieri o oggi è guardare al domani, nel frattempo fare ciò che possiamo e avere pazienza».

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